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Con contributi di: Luc Boltanski, Michael Burawoy, Annamaria Campanini, Axel Honneth, Paulo Henrique Martins.

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Convegno

Convegno internazionale all'UNESCO

Parigi, 2 febbraio 2008

L'incontro è stato organizzato in collaborazione con New Humanity e FIDESCO. E'stato sponsorizzato da "MOST de l’Unesco".

Durante il programma, Vera Araùjo ha presentato il tema: "Per un'economia a misura d'uomo: la comunione"

vera araujo

Per una economia a misura d'uomo: la "comunione"

Vera Araùjo - Sociologa

Parlare della categoria “comunione”, nel senso concettuale ed esistenziale del termine, può sembrare un’utopia in una società come quella post-moderna segnata dalla crisi dei rapporti interpersonali con spaventosa ricaduta su quelli sociali, istituzionali e anche internazionali.

Ma per parlare di “comunione” dobbiamo anzitutto compiere un’operazione di natura antropologica, ovvero recuperare il ruolo e la centralità della persona, smarrita dalla cultura moderna nella trama sistemica o nell’affermazione assoluta dell’individualità, con il conseguente disagio cosciente della soggettività.
Riproporre la centralità della persona vuol dire depurarla da vecchi schematismi filosofici e collocarla alla base delle scienze storico-sociali, per approfondire il suo significato oggi, nella frammentarietà e liquefazione della modernità. Sforzo che è possibile solo con il contributo delle diverse discipline umanistiche – in dialogo aperto con altri saperi – in un impegno collettivo formidabile, non acritico, bensì onesto e sincero, per ridare senso, orientamento e punti di riferimento sicuri all’uomo globale, smarrito, incerto e senza speranza.

Dire persona vuol dire parlare di relazioni, di comunione, perché la persona è la fonte della comunione. Persona vuol dire allo stesso tempo identità e socialità. Identità che qualifica la persona come essere unico, irrepetibile, non scambiabile e non sopprimibile. Socialità presente nel suo DNA come costitutivo del suo essere, già presente tutta intera nella persona e che si esprime pienamente nell’incontro con l’altro come momento essenziale.
Nel dire di Luigi Stefanini, pensatore italiano, la dimensione sociale è «endogena nella persona, non nel senso immanentistico e monistico dell’idealismo assoluto, ma nel senso che la persona contiene in sé la sua destinazione sociale, e nemmeno potrebbe compiersi come persona se contravvenisse a tale sua destinazione»1.
Secondo Jacques Maritain l’essere umano è personalità, ovvero persona indipendente, che sussiste spiritualmente e che costituisce un universo a sé, che è un tutto autonomo, ma che nello stesso tempo è aperto alla comunicazione con gli altri e al dono.

Sto cercando di dire che vivere in comunione non è un optional, ma è una esigenza profonda di ognuno di noi, senza di essa saremo sempre insoddisfatti, in ricerca, incompleti.
Il vero problema, dunque, è quello di capire come vivere la comunione in una società che sembra fatta appositamente per vivere l’individualità.

Problema che si supera con la creatività tipica dell’essere umano che è capace di trasformare con la sua volontà e con la sua intelligenza il negativo in positivo, o viceversa. Così il pluralismo etnico invece che una barriera diventa una chance di arricchimento (lo straniero, il diverso che incontro per strada, al lavoro è una persona con cui posso e debbo costruire rapporti di comunione); il pluralismo religioso da settarismo può diventare dialogo aperto, occasione unica per vivere il rispetto delle idee ma anche per cercare insieme la verità; il pluralismo politico da scontro su ogni azione o decisione politica può diventare momento privilegiato per scoprire insieme il bene, non di alcuni, ma di tutti (della città, della nazione, del mondo); le disuguaglianze economiche, la povertà materiale, ma anche morale può diventare il momento del riscatto, della condivisione.

Nelle relazioni che si creano fra gli uni e gli altri si può creare una vera e propria comunione con il significato di unione intima, di vivente unità che tende a realizzarsi nella fusione delle anime, nella perfetta convergenza degli obbiettivi, nel compimento e nel perfezionamento di un processo di unificazione.
Quindi, come asseriscono anche Buzzoni e Rigobello: «la comunione, pur nell’intensità e intimità della comunicazione che essa genera, non dissolve il singolo e il rapporto intersoggettivo non si pone come entità o ipostasi separata e obbiettiva, bensì appunto come rapporto fra coscienze personali, che si costituiscono come tali proprio nel loro tendere alla comunione, in un impegno attivo di rinuncia ad ogni affermazione particolaristica di sé (…). La comunione può così comparire come il ‘luogo’ della liberazione, cioè il raggiungimento della libertà nel suo senso più pregnante, come rimozione d’ogni impedimento alla realizzazione della persona, perché questa richiede al tempo stesso l’esperienza di comunione e la permanenza nella propria identità»2.

Cogliere la dimensione comunionale nelle relazioni interpersonali e sociali significa scendere nel profondo dell’essere per immettersi in un percorso, in un cammino che va dall’io all’altro, passando per dimensioni diverse e sempre più consistenti di interazioni.
La lezione di Emmanuel Mounier in questa tematica è essenziale. Analizzando il suo messaggio personalistico comunitario, in un recente convegno Sabino Palumbieri ebbe a dire: «La comunità si costruisce passo per passo. Il tutti-noi organico è l’intelaiatura di rapporti interumani dove ognuno è tu per l’altro. E questo è l’inizio dell’anelito di comunione a cui mira la socialità, che è costitutiva dell’uomo.
Fenomenologicamente si colgono tre livelli presenti nello spirito. C’è anzitutto quello del co-essere, in quanto è fondamento della società o esperienza del legame della semplice comunicazione. Viene poi, quello del pro-essere, che fonde la comunità o esperienza dell’impegno nel costruire legami tra i vari tu riscopertisi reciprocamente. C’è inoltre quello dell’in-essere che si identifica con l’esperienza della comunione, percepita come reciprocità di in abitazione nel profondo. Il passaggio dal co-essere all’in-essere non è automatico, ma avviene attraverso il pro-essere. E’ l’impegno a dare il tu, ove il dare è dedicare il proprio io all’altro, che suscita nell’altro la percezione della inabitazione che è la condizione del sentirsi in unità. ‘L’amore è l’unità della comunità, come la vocazione è l’unità della persona […]. Tutta l’umanità è un’immensa cospirazione d’amore ripiegata su ciascuno dei suoi membri.’ (E. Mounier, Rivoluzione personalista e comunitaria, p. 105)»3.

Questo significa che la comunione può avere intensità diverse ma deve essere sempre autentica e non formale. La comunione con i familiari o con gli amici non è la stessa che costruisco con il vicino di casa o con la cassiera del supermercato, ma entrambe devono essere relazioni con persone e non con funzioni, o peggio, con oggetti.
Detto in parole semplici e quotidiane, la comunione sorge là dove le persone stabiliscono relazioni vere, piene di senso, significative, innervate di vero amore frutto dell’impegno costante di donazione all’altro, qualunque altro, nello sforzo di superare il proprio individualismo egocentrico e chiuso, per approdare all’alterità aperta e reciproca.
Per i credenti cristiani la fonte sorgiva di questa comunione tra persone è la Trinità stessa, modello di unità, riflesso della vita intima di Dio, Uno in tre Persone. (cf Enciclica Sollicitudo rei socialis n. 40).
Questo modello di comunione trinitaria non è astratto o lontano, ma vuole essere realizzato in terra fra gli uomini. Scrive Chiara Lubich: «E’ la vita della Santissima Trinità che dobbiamo cercare di imitare, amandoci fra noi, con l’amore effuso dallo Spirito nei nostri cuori, come il Padre e il Figlio si amano fra loro… Fin dagli inizi del Movimento (dei Focolari) ci hanno folgorato le parole di Gesù nella preghiera dell’unità: “Come tu Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola” (Gv 17,2-21). E abbiamo capito che dovevamo amarci fino a consumarci in uno e ritrovare nell’uno la distinzione. Come Dio che, essendo Amore, è Uno e Trino» (“Lectio” in occasione del conferimento del dottorato honoris causa in teologia dall’Università di Trnava [Slovacchia], 23.06.2003, Castelgandolfo [Roma], editrice Nové Mesto, Bratislava, p. 36).

La domanda che si impone è duplice.
Persone indirizzate e aperte alla comunione sono in grado di costruirla negli aspetti della vita civile nonostante l’intelaiatura di rete che la tecnologia ha creato e sviluppa sempre di più nel nostro mondo?
E ancora: è possibile vivere la comunione nelle relazioni interpersonali mediate dalle istituzioni politiche, dalle strutture produttive e della comunicazione?

Nel primo caso la risposta è affermativa solo se la persona ridiventa più importante del mezzo, dello strumento, essendo capace di utilizzarlo nella realizzazione e sviluppo della propria vita di relazione.
Nel secondo caso si rende necessario comprendere sempre di più il ruolo delle istituzioni e delle strutture e il loro inserimento come terzo elemento nelle relazioni io-tu.

Un tentativo di un certo interesse è quello compiuto da Paul Ricoeur. Partendo dal personalismo comunitario di Mounier, egli si interroga su some introdurre l’elemento “istituzione” così presente e pressante nella società complessa: «Introducendo il concetto di istituzione introduco una relazione all’altro che non si lascia ricostruire sul modello dell’amicizia. L’altro è il vis-a-vis senza volto, il ciascuno di una distribuzione giusta. Non direi che la categoria del ciascuno si identifica con quella dell’anonimo… Il ciascuno è una persona distinta, ma che io non raggiungo che mediante i canali dell’istituzione»4.

Ricoeur tenta così di presentare in modo positivo il ruolo della mediazione istituzionale, tenendo in considerazione che il dialogo tra le persone sempre più spesso viene intrecciato da questa mediazione che è impersonale e nella quale i ruoli sono anonimi. Questo sfondo anonimo non è necessariamente negativo ma può addirittura rendere possibile l’incontro personale.

Qui ci troviamo davanti alla sfida delle sfide. Trasformare la famosa “gabbia di acciaio” in una possibilità di allargare la comunione. La burocrazia, le regole di convivenza sociale, le leggi che regolano la nostra esistenza, possono servire per stabilire rapporti indiretti ma reali e non virtuali, non formali, ma veri.

E’ la sfida di suscitare anzitutto in ognuno, ma poi fra molti, tutti, la voglia di comunità, che non è assembramento o adunata, ma operosità e capacità di aiutarci gli uni gli altri, di donarci gli uni gli altri.

Nel caso invece della “struttura produttiva” il discorso prende connotazioni ancora diverse. Si sente il bisogno che esse diventino “comunità di persone” unite da rapporti autentici e indirizzati ad obiettivi positivi ed efficaci. Su questa base è possibile innescare tutta una serie di valori nei ruoli e nelle funzioni proprie di una impresa. Cooperazione, fiducia, ascolto, amore per la verità, rispetto delle competenze, partecipazione, attenzione, alla prova dei fatti possono diventare elementi di rara efficienza nel conseguimento dei fini proposti; non solo, possono dare impulso alla creatività e alla innovazione nel concepire strutture e regole di gestione, consone interpreti della dignità personale e di una vita comunitaria.
E’ in questo senso che il progetto Economia di Comunione si muove e si indirizza.

Si naviga in acque poco conosciute, si affrontano, in ogni latitudine, burrasche tipiche del mondo economico, ma le testimonianze che abbiamo ascoltato in questa giornata ci dicono che vale la pena di insistere su questa strada.
L’agire economico non è condannato a creare solo rapporti egoistici, autoreferenziali e conflittuali e la ricerca degli utili non produce necessariamente concorrenza sfrenata sino alla distruzione dell’antagonista che, nel mondo globale può assumere il volto di interi popoli, di intere nazioni.

L’Economia di Comunione vuole essere, assieme al microcredito e tanti altri progetti in atto nel mondo, un segno reale, concreto che è nella volontà dell’uomo la forza del cambiamento.

1 Cit. in J. OLAECHEA C., Identità contro apertura? La persona e la sua vocazione nel Personalismo sociale di Luigi Stefanini. www.incontroall’uomo.org/index.php? P. 4=riflessione 5.
2 M.BUZZONI-A.RIGOBELLO, Società, Comunità, Comunione, in AA.VV, Lessico della Persona Umana, Ed. Studium, Roma 1986, pp. 239-240.
3 S. PALUMBIERI, Postmoderno e persona in E. MOUNIER, Persona e umanesimo relazionale. A cura di TOSO – FORMELLA – DANESE, LAS, Roma 2005, pp 90-91.
4 P. RICOEUR, Il tripode etico della persona, in A: DANESE (ed.),  Persona e sviluppo, Roma 1991, p. 69.

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Chiara Lubich

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