masini_vincenzoAgape e affinità intenzionaleVincenzo Masini*

Accettazione in luogo di reciprocità
Nella recente sociologia è divenuto corrente il termine reciprocità (e la concezione di scambio reciproco, anche simbolico) come regolatore della produzione di beni relazionali. Reciprocità è però un termine troppo vago per dare spiegazione delle relazioni tra le diverse personalità; con essa infatti si definisce un rapporto (simmetrico o complementare) tra soggetti che si scambiano “beni relazionali” della stessa natura.
La spiegazione della reciprocità come modalità di rapporto tra persone è così del tutto insufficiente per un teoria relazionale compiuta e porta con se l'equivocità del do ut des, niente affatto moderata dal concetto di scambio simbolico. Lo scambio descrive due o più attori interagenti che equilibrano i loro doni attraverso la circolazione di beni equivalenti o equipollenti. Nella migliore delle ipotesi è una struttura dialogica che permette di scoprire nell’altro caratteristiche proprie mediante contatto e influsso, scambio e corrispondenza.
Al posto di una reciprocità apparentemente fluida e duttile ma sostanzialmente normativizzante e modulata su criteri di scambio, le relazioni agapiche si fondano sul dono, la cui origine è solo il gesto d’amore. Il dono è il segno dell’affettività. Affettività che è qui considerata il motore e l’obiettivo dell’intera evoluzione della specie.
Il fondamento del cristianesimo è decisamente connesso al superamento della reciprocità (non però alla sua negazione); infatti l’unica richiesta del Cristo, in cambio del suo amore, era l’accettazione dell’amore. Chi ama non chiede nulla in cambio se non di essere accettato.
Sorge qui l’esigenza di dissipare un primo equivoco: l’amare è un gesto concreto con cui si offre all’altro "il meglio di sé". Dunque non è un’emozione (magari coinvolgente o sentimentalistica o che fa scaturire bisogni e dipendenze) poiché non è “dare tutto di sé” ma solo “il meglio”. Spesso con la pretesa egocentrica di “dare tutto di sé” vengono riversati sull’altro i propri bisogni e i proprio desideri e non il flusso di affettività bioenergetico che accresce le possibilità e le potenzialità di miglioramento delle persone e dei gruppi.
Porre l’attenzione sul bisogno di accettazione da parte di chi propone un gesto di amore piuttosto che sulla reciprocità del gesto d’amore, conduce alla lettura dell’agape come luogo di relazione accettante tra esseri umani.
Vediamo le prime implicazioni: la reciprocità può avere una qualche forma di misurazione e, pur se asimmetrica, rimanda allo scambio, anche il più nobile come quello di valutare come risposta positiva la semplice intenzione dell’altro, pur se non realizzata e compiuta, di rispondere al gesto di amore.
Il dono e la sua accettazione non hanno nessun parametro che possa assomigliare allo scambio e che possa essere quantificabile, nemmeno in modo simbolico.
Le proprietà del dono sono quelle di essere "il meglio di quanto si può dare" e viene offerto in modo che non possa essere squalificato dall'altro. E’ quindi un dono che contiene il massimo possibile di verità e di trasparenza.
Empatia e agape
Perché il dono sia portatore di verità è necessario che chi dona, abbia modo di entrare in contato con il vissuto altrui al fine di comprendere la qualità del suo bisogno e del suo desiderio.
Edith Stein1 propone l’empatia come processo di interazione costitutivo della relazione umana. Pur lasciando vaga e imprecisa la definizione sullo strumento comunicativo fondamentale del processo empatico, la Stein descrive con lucidità i tre gradi del processo: 1) emersione del vissuto altrui, 2) esplicazione riempiente e 3) oggettivizzazione comprensiva. Questi tre gradi presentano modulazioni diverse in ordine alle età, allo sviluppo o alla regressione della capacità empatica o al copione di personalità che è, più o meno, aperto alla comprensione empatica di un vissuto o di un altro.
Qualcosa può facilitare o opporsi al coglimento empatico? Come può essere risolta la questione posta dalla Stein: "Qualcosa in me si oppone: un mio vissuto proprio momentaneamente presente oppure la costituzione della mia personalità" [Stein, 1985:85]. Le domande teoriche poste dagli scienziati sono sintetizzabili in: "Il comportamento empatico costituisce un’esperienza emozionale partecipata o è la comprensione di un affetto o ambedue i fenomeni? Il comportamento empatico comporta una relazione verso un oggetto, verso gli stati emozionali di un altro, e/o verso una situazione di circostanza? Il comportamento empatico è sostenuto da diversi processi oppure è richiesto il solo processo di differenziazione sè-altro?". Da cosa dipende la possibilità di far esperienza di stati d'animo e di mente, di sperimentare le emozioni di base tipiche del vissuto umano, di perfezionarle e raffinarle? Siano esse innate, o apprese, qual è il processo esperienziale per cui diventano attuali? Perché il coglimento empatico è di grado e tipo differente a seconda degli individui e della loro sensibilità?
Soggetti con caratteristiche nevrotiche, di introversione, di aggressività o di eccessiva estroversione, o comunque soggetti eccessivamente centrati su di sé, manifestano una bassa abilità empatica. La correlazione tra processo d’empatia e le sue possibili operazionalizzazioni è presente anche nelle ricerche degli psicologi che hanno studiato, in tempi più recenti, l'empatia come interazione: Rogers, Fuesbach, Roe, Deutsch, Madle, Perls, Schuster, Gladstein, Goldstein2.
Essi hanno messo in luce le caratteristiche personali della capacità empatica verificando che il comportamento empatico, nelle sue diverse fasi, richiede un mix di affettività e di razionalizzazione: dopo un primo momento di fusionalità e di adesione al vissuto dell'altro, subentra l'oggettivizzazione dell'esperienza ed il riferimento di questa alla propria. Ove sia attuata un’adesione al vissuto altrui, senza successivo distacco, si attua un processo imitativo non consapevole o un’eccessiva immedesimazione nell'altro, con identificazioni proiettive e scarso senso della propria identità. Sono queste situazioni d’attrazione con esiti di proiezione e dipendenza, con fusionalità esasperate da cui non si riesce a distaccarsi. Altri autori insistono sulla correlazione tra superamento dell'egocentrismo e abilità empatica e descrivono la tipologia di climi sociali necessari a tale apertura.
L’empatia riguarda il primario e naturale coglimento del vissuto altrui (pur se moderato nella distinzione psicologica tra empatia affettiva ed empatia cognitiva o distribuito nei suoi diversi gradi di percezione, immedesimazione riempiente ed oggettivazione); la dinamica descrive la processualità degli scambi sulla base di schemi o di copioni, intrapsichici o relazionali3. La sociologia ha svelato da tempo che la dinamica si attua prevalentemente nelle articolazioni dei ruoli sociali nel gruppo, anche se la loro configurazione funzionale e culturale, anche di quelli più strutturati, è contaminata da simpatie, antipatie ed apatie4 (le tre essenziali configurazioni relazionali di base in cui si declina l’empatizzazione); di contro ogni coglimento empatico del vissuto altrui s’implementa attraverso frames conversazionali fino ad assumere una specifica tipizzazione dinamica.
Il richiamo al tema della dinamica è qui utile per comprendere i modelli plurimi d’intrecci, di avvicinamenti e allontamenti parziali, d’incontri su piani psicologici e comunicativi variegati, su intese, rotture, affinità ed opposizioni. Alcune emozioni, o sentimenti, vengono empatizzati, accettati o respinti; tali accettazioni o rifiuti sono base per le elaborazioni cognitive, per gli intrecci linguistici, per le disposizioni metacomunicative; alcuni si consolidano e s’implementano nella relazione e conducono a tipizzazioni reciproche, altri processi empatici diventano emergenti e costruiscono nuovi significati o rileggono vecchi significati in una nuova luce.
Ciò che viaggia nelle relazioni sociosolidali eleva il grado d’empatia, fa crescere le persone nell’orientamento della loro apertura emozionale e, a catena, anche nella loro cognizione e disposizione socioaffettiva.
Dunque il processo di empatia ha un grande ruolo nella comprensione dell’agire agapico poiché senza la comprensione empatica del vissuto altrui, il dono può non essere accettato perché non è ciò che l’altro ricerca.
Gli esseri umani sono compresi dalla oceanica empatia di Dio e, qualora non facciano scudo dentro di sé, riescono ad entrare nelle coincidenze provvidenziali facendo al Sua volontà.
Nuova umanità e agape
Il concetto di umano precede il concetto di persona, così come il concetto di umanità precede il concetto di personalità. L’essere umano diventa persona nella relazione con l’altro e sviluppa la sua identità biologica attraverso le occasioni a lui proposte dagli incontri con le persone essenziali nel corso della sua vita. La sua identità emerge dalla sua natura umana e prende forma nella sua costruzione della sua personalità. L’identità biologica precede la coscienza e la coscienza precede la personalità. Questa ultima è il principale oggetto di analisi della psicologia (che investiga anche sui precedenti livelli) ma che non interviene come apparato di azione sullo sviluppo dell’umano e sulla distinzione tra ciò che è umano e ciò che umano non è.
L’agape supera come concetto la dimensione husserliana e schutziana del mondo della vita quotidiano. Il mondo della vita riguarda infatti una dimensione relazionale già prestabilita, di piccolo gruppo, frutto di rapporti interpersonali già dati. L’agape si apre invece all’umano mediante empatia, ed apprendimento della empatia medesima, e deuteroapprendimento di vissuti ancora ignoti ma sperimentati dalle coscienze di altri umani.
L’umano si elicita nelle relazioni con privilegio dell’empatia affettiva rispetto a quella cognitiva e con marcata attenzione alle strutture archetipiche dell’umano sia nella coscienza collettiva che nell’inconscio collettivo. L’empatia cosiddetta affettiva (meglio sarebbe usare il termine emotiva o emozionale) è ben rappresentata dalla tripletta della Stein: (coglimento del vissuto, immedesimazione riempiente, oggettivazione) mentre l’empatia cognitiva5 può essere rappresentata attraverso un processo quasi inverso: 1) oggettivazione cognitiva (anche di ricerca scientifica) del comportamento altrui, 2) riferimento alla possibile categorializzazione (anche idealtipica, nel senso comune che viene dato alle consuete tipizzazioni pre-giudiziali) e immedesimazione proiettiva nel vissuto altrui, 3) coglimento del vissuto dell’altro nella sua autenticità con le sfumature emozionali specifiche dell’altro che differiscono sia da quelle specificamente sperimentate dal soggetto che da quelle categorizzate6.
L’interumano è dunque il luogo su cui l’agape può fondarsi e non l’interpersonale giacché non tutti gli uomini hanno la possibilità di realizzare la loro identità in una personalità completa sia per motivi biologici che sociali, economici o psicologici.
Istituzioni agapiche, affinità elettive ed intenzionali
Esse possono essere pensate solo in termini non normativi. Una ricognizione intorno a tal concetto di istituzione richiede la produzione di una classificazione delle relazioni di affinità sociosolidale; in esse l’uomo diventa ciò di cui l’altro ha bisogno al fine di sviluppare quelle dimensioni dell’umano ancora ignote o critiche. Sono infatti le relazioni che conducono l'essere umano a diventare persona e l'”umano” si sviluppa e diventa personalità laddove ci siano relazioni di affinità elettiva.
L'espressione “affinità elettive” (Wahlverwandtschaften) è, in tedesco, un composto costituito dai termini Wah/, “scelta”, e Verwandtschaften, “affinità o parentela”. Tale espressione è conosciuta per l’omonimo romanzo di Goethe che parla di affinità per bocca dei suoi protagonisti: “Se ognuno ha un rapporto con se stesso, deve avere anche una relazione con gli altri…E questa relazione sarà diversa a seconda della diversità degli esseri…Alcuni si incontrano come ami¬ci e vecchi conoscenti che subito si uniscono e si accordano senza mutarsi reciprocamente in nulla, così come si mischiano l'acqua e il vino. …Chiamiamo affini quelle nature che incontrandosi subito si compenetrano e si determinano recipro¬camente… esse non mi appaio¬no tanto parenti nel sangue quanto nell'anima e nello spirito. A questo stesso modo possono nascere tra gli uomini amicizie vera¬mente importanti: poiché qualità opposte rendono possibile una più intima unione…Unire è un'arte grande, un merito maggiore. Un artista del¬la unificazione sarebbe benvenuto in ogni campo dell'universo…”
Chi voglia produrre unità deve disporsi alla modificazione di se stesso per la costruzione di relazioni di affinità con l’altro. Non semplicemente elettive, cioè modulate sulla base della simpatia relazionale con l’altro, ma intenzionalmente modellate attraverso l’assunzione di una posizione relazionale che possa essere in sintonia con l’umanità dell’altro.
Le teorie relazionali di cui siamo in possesso sono ancora deboli e imprecise per il progetto di agape a cui l’umanità è chiamata.
Il concetto di affinità risolve la questione ontologica sulla oggettività/soggettività della relazione poiché supera la strettezza di un rigido criterio bipolare: l’affine è in possesso di qualche qualità, che noi apprezziamo perché ci manca e ci completa, ma non è necessariamente in una posizione di reciprocità diretta ed univoca con noi. Con questo concetto è possibile rivisitare le teorie relazionali sociologiche e psicologiche cercando di descrivere le polarizzazioni individuate alla luce delle affinità: esiste “un’interdipendenza tra la struttura della società nel suo complesso e la struttura della personalità degli individui, ossia tra quelle che vengono rispettivamente definite macrostrutture e microstrutture” 7. La citazione di Elias vale per tutti: per Simmel, Parsons, per la proto-differenziazione di Goffman, per la riscoperta del sé di Touraine, per la scuola fenomenologica di derivazione Husserliana, e per le teorie sistemiche. La stessa sociologia relazionale muove dalla rilettura, nello schema AGIL di Parsons, dei diversi modelli di relazionalità.
Le scoperte psicologiche sulla relazione insistono su tre fondamentali temi: simbiosi e identità, attaccamento e distacco, up - down, che sono espressi nelle concezioni psicodinamiche, di Bowlby, della scuola transazionale e dalla scuola di Palo Alto.
Partendo da questi nuclei teorici di base si può costruire un modello di ricerca sulle relazioni selettivamente, o intenzionalmente, affini.
L’affinità sostiene relazioni di disponibilità, di dialogicità, di riconoscimento, di incontro, di mediazione, di complementarità e di integrazione. Tali relazioni scaturiscono dal mix delle precedenti teorie che, ove più improntate alla dinamica sociorelazionale, si polarizzano su integrazione, complementarietà e mediazione, ove più incentrate sull’agire agapico mostrano la natura di relazioni di disponibilità, dialogicità, riconoscimento e incontro.
Il terreno su cui può fondarsi una pratica di ricerca dell’agire agapico è quella della costruzione di una ricognizione sui modelli relazionali interumani. Giacché la relazione è ciò che collega il Padre con il Figlio. Lo spirito presente nella relazione è il luogo più avanzato ed audace della ricerca sull’agire agapico.
Tenendo altresì presente che il conflitto relazionale è invece attivo nelle relazioni oppositive, quali l’equivoco, l’incomprensione, l’evitamento, la delusione, l’insofferenza, il fastidio e il logoramento.
Quando i rapporti umani vengono imbrigliati all’interno di tali trappole relazionali l’evoluzione verso la costruzione di personalità collettive armoniche è impedita e gli uomini sono costretti in copioni ripetitivi e limitanti di comportamento.
Uno degli ambiti “contrari” di ricerca, quasi una dimostrazione per assurdo, è quello della trappola burocratica in cui finiscono le istituzioni sistemiche. La società burocratica profetizzata da Weber è un oggetto interessante di ricerca proprio perché in essa si attua la distrazione, superficiale ma perversa, di quanti, pur avendo avuto l’opportunità di realizzare la loro personalità e la loro presenza attiva nel mondo, hanno dimenticato l’origine motivazionale ed etica delle loro scelte e si sono persi nella progressiva lontananza dall’umano.

* Direttore di PREPOS, presidente di FAIC-NBCC Italia, docente di psicologia generale Università di Perugia e di psicologia della comunicazione Università di Siena.

1Stein E., (1985), L’empatia, Angeli, Milano; cfr anche: Stein E., (1997), Natura, persona, mistica, Città Nuova, Roma; Stein E., (1998), Essere infinito ed essere eterno, Città Nuova, Roma.

2Rogers C. R., (1975), Emphatic: An unapperciated way of being, The Counseling Psychologist, 5; Rogers C.R., (1970), La terapia centrata sul cliente, Martinelli, Firenze; Rogers C.R., (1976), Gruppi di incontro, Astrolabio, Roma; Gladstein G.A., (1986), Empathy and Counseling, Springer-Verlag, N. Y.; Goldstein A. P., Michaels G. Y., (1985), Empathy, L.E.A., Hillsdale, N.J.

3Con il concetto di «dinamica» si intende l’orientamento del gruppo verso un compito da realizzare attraverso processi di strutturazione e destrutturazione dei ruoli. Il carattere dinamico si esplica nei cambiamenti e riequilibramenti strutturali necessari al raggiungimento degli obiettivi, come spiega K. Lewin (Lewin K., (1959), A dynamic theory of personality, N.Y., trad. it. (1972), Teoria dinamica della personalità, Giunti-Barbera, Firenze) che lo prese in prestito dalla meccanica: “il termine «dinamico» si riferisce qui al concetto dynamis=forza, a una interpretazione cioè del cambiamento come risultato delle forze psicologiche” (Lewin, 1972: 88).

4Nonostante quanto afferma Husserl, nel sostenere che l’empatia non può mai essere priva d’interesse intenzionale affettivo e conoscitivo, e che, quindi, possa solamente elicitarsi in simpatia e antipatia, non è possibile considerare l’empatia come un atto in sé, immediatamente conoscitivo, senza intenderlo come processo di coglimento, assimilazione e valutazione (più o meno conscia) che prelude ad una disposizione relazionale. Tra le disposizioni relazionali della persona c’è il disinteresse che, posto in rapporto con l’interesse dell’altro, o con la sua ricerca affettiva o con la sua indifferenza, produce la costruzione di contesti relazionali di logoramento, di fastidio e di apatia. Sarà solo grazie alle precisazioni sul processo empatico della Stein che le differenziazioni potranno acquistare significatività scientifica: nell’ottica processuale il coglimento dell’aggressività nell’altro e la scelta di disporsi in una posizione di apatia favoriscono la costruzione di una relazione di mediazione, o l’empatizzazione di un eccesso di controllo dominante, assorbito con tolleranza, conduce alla costruzione di una relazione di complementarità. Se così non fosse le empatizzazioni produrrebbero solamente rinforzi nel personale vissuto in simpatia con il vissuto dell’altro o simmetrie di antipatia per i vissuti oppositivi.

5Nella prospettiva di comprendere il significato dell’"empatia sociosistemica", ipotizzata da Ardigò [1988], non è possibile prescindere dall’empatia cognitiva discussa dagli psicologi. L’estensione analogica dei processi di empatia dal soggetto ai sistemi, che “per uscire dai rischi di un eccesso di chiusura autoreferenziale astraente, possano cercare di aprirsi all’ambiente, lasciarsi invadere, a certe condizioni, dall’intenzione empatica verso di esso” [Ardigò, 1997: 186], può essere possibile se i sistemi, sulla base di una cognizione – anche schematica o idealtipica – dell’ambiente riescono a riferire al comune codice umano le caratteristiche dell’ambiente umano, le sentano come simili per analogia e le lascino penetrare consentendo l’apertura al nuovo e la modificazione, co-costruita dal sistema e dall’ambiente, del significato del sistema medesimo.

6Tale tipo d’empatia cognitiva non è solo apertura volontaristica, ma frutto dell’esperienza relazionale di una gruppalità equilibrata. La rete relazionale gruppale (che è tanto più complessa quanto più è equilibrata, giacché senza equilibrio la complessità dissolverebbe la personalità collettiva del gruppo per le pressioni divergenti del gruppo latente), è una potente antenna in grado di ricevere segnali con le bande più diverse. Fino alla possibilità di comprensione interpersonale assoluta: quella dell’uguaglianza tra esseri umani sulla base della possibilità di sperimentare le stesse emozioni e gli stessi sentimenti, purché posti nella condizione di comunicare il proprio vissuto ed aprirsi al vissuto altrui.

7 Elias N., 1983: 84.

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