Tavola Rotonda su: Dialogo sul tema della fraternità in vari ambiti culturali

_26-tavola-rotonda_sergio_r intervento di Sergio Rondinara

Professore di filosofia della natura alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, coordinatore del gruppo di ricerca Eco-One.

Una caratteristica degli attuali problemi ambientali (buco dell'ozono stratosferico, mutamenti climatici, ecc.) è che essi si sviluppano su una scala planetaria e pertanto investono tutta l'umanità. Per questo motivo non bastano gli in­terventi dei singoli o delle nazioni, occorre, soprattutto, una politica mondiale che guidi la mobili­tazione di tutti i popoli ad un'attenta gestione del pianeta e che realizzi una strategia ecologica globale prima che si giunga al punto di non ritorno.

In altre parole si rende necessaria una politica mondiale che attui una strategia globale per la salvaguardia dell'ambiente. Questa è tra le sfide culturali più grandi ed urgenti che ci pongono i nostri giorni. Occorre acquisire la consapevolezza che non bastano scelte positive o virtuose da parte di individui o nazioni.

Ad esempio, nel 1990, l'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) aveva dimostrato che le emissioni di gas serra avrebbero condotto ad un aumento della temperatura media, con tutte le conseguenze che ben conosciamo. Eppure, pochissimi paesi agirono, unilateralmente, per ridurre le loro emissioni. L'Unione Europea propose di introdurre la carbon tax in Europa, ma dopo aver constatato che l'esempio non veniva seguito da altri paesi (in special modo dagli USA) provvide a mutare programma. Perché questo? Perché la natura propria dei più importanti beni ambientali (acqua, aria) è quella di essere dei beni pubblici globali, e ciò rende fallace l'unilateralismo come strategia di politica ambientale.

Di fatto occorrono cambiamenti strutturali nell'economia su scala mondiale per far sì che il nostro modello di sviluppo diventi "sostenibile".

Inoltre esiste uno stretto rapporto tra la sostenibilità dello sviluppo e il problema della povertà. Sarebbe illusorio e irresponsabile - infatti - pensare di risolvere il primo disgiuntamente o, peggio ancora, contro il secondo problema. A ben poco servirebbero gli sforzi volti a migliorare o a preservare la qualità ambientale del Nord se, allo stesso tempo, non si ponesse mano ad uno straordinario programma che consenta ai paesi del Sud di svilupparsi secondo le proprie culture. Chiaramente, anche questo, dovrà trattarsi di un programma su scala globale, dal momento che le politiche a scala nazionale non raggiungono più tale scopo.

Ma è facile prevedere che ciò risulterà impossibile se non acquisteremo una nuova sensibilità al bene comune, alla fratellanza universale, alla destinazione universale dei beni e se, per una parte considerevole della popolazione mondiale, non s'intraprende un radicale cambiamento nei propri comportamenti consumistici.

Operazione questa che sollecita ed esige un modello antropologico - per gran parte oggi ancora inedito - in cui si passi da un'ottica prevalentemente individuale ad un'ottica di comunione, da un'ottica di gruppo limitato ad un'ottica di famiglia umana globale. E qui ciascuno di noi è chiamato a dare il proprio apporto.


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