2) Il secondo intervento è di Bennie Callebaut. Ci esporrà il conflitto in un altro grande del pensiero sociologico, Max Weber, chiamato addirittura "padre della sociologia del conflitto".

Bennie Callebaut, tra l'altro, rileverà le differenze con Marx, mettendo in luce l'importanza, in Weber, del concetto di compromesso, che non significa né compromissione né facili armonismi, ma fa del conflitto un elemento di dinamizzazione della società e di sviluppo delle forze sociali.

Anche a motivo della sua specializzazione in sociologia della religione, Bennie esemplificherà la concezione weberiana del conflitto con alcune sue applicazioni in campo religioso ed ecclesiale. Mi pare, questo aspetto, un contributo prezioso del suo intervento.

bennie

Il conflitto in Max Weber

Bennie Callebaut

Nella vita sociale, c'è il conflitto, ma non c'è solo il conflitto. Questa definizione generica, molti sociologi potrebbero sottoscriverla. Anche tanti sociologi che sottolineano quanto sia importante - e dunque ‘normale' - il ruolo del conflitto nella dinamica sociale. Forse, quello che li distingue da altri sociologi è proprio quello che si dice di Durkheim e tanti funzionalisti (pensiamo per esempio a Parsons) che invece definiscono il conflitto prima di tutto come una patologia della vita sociale. La scelta non è tra patologia o fenomeno normale, ma la dicotomia resa caricaturale rende chiaro il dibattito, bisogna poi precisare che tra queste due posizioni ci sono tante posizioni intermediarie e un'infinità di sfumature! Ora, si usa catalogare Max Weber, uno dei padri fondatori della sociologia (1864-1920), tra i sociologi che privilegiano il conflitto.

Weber insiste in effetti sul fatto che «(...) il conflitto non può essere escluso dalla vita sociale ... La ‘pace' non è altro che un cambiamento nella forma del conflitto o tra gli antagonisti o negli oggetti del conflitto, o finalmente nelle ‘chances' della selezione» (Coser, 21).

Nel diciannovesimo secolo, la società rurale che si era sviluppata lentamente durante secoli, dando le apparenze di una società statica, sta cambiando sotto gli occhi di tutti, ed il ‘cambiamento' diventa uno dei temi dominanti della riflessione della nascente categoria dei sociologi. Weber differisce da Marx per esempio, nell'avanzare un netto rifiuto di una spiegazione monocausale del cambiamento nella storia, ed anche l'evoluzionismo non trova grazie ai suoi occhi. Per Weber, la storia è una materia troppo enorme perché un ricercatore riesca ad avvicinarla al di fuori di un punto di vista, che corrisponde al suo interesse: per Weber, non c'è scienza sociale che quella prospettivista. Con ciò tenta di evitare ogni dogmatismo. Dico tenta, anche sul conflitto.  Gli studiosi di Weber, come J. Séguy, dicono che esistono due Weber, d'una parte il borghese tedesco favorevole al capitalismo e all'imperialismo germanico, che accetta la modernità occidentale come un destino ineluttabile; d'altra parte il sociologo critico che considera la storia come sempre aperta e che non esita a proporre una analisi razionale/critica della faccia notturna della modernità.

Come riflette il Weber sul conflitto? Prendiamo un esempio. Weber sviluppa la sua sociologia religiosa come una dimensione di una sociologia del potere. Il sociologo deve cercare di legare il discorso religioso agli interessi religiosi, di quelli che producono, diffondono e ricevono il discorso religioso. I professionisti della religione hanno secondo lui delle strategie per appropriarsi del monopolio dell'imposizione ierocratica, dei beni della salvezza. Il campo religioso si presenta per Weber come il sistema completo delle relazioni oggettive di concorrenza e transazione tra le posizioni degli agenti religiosi (Bourdieu su Weber). Da queste due ultime frasi si intuisce  un po' che su Weber si può concludere che gran parte della sua sociologia ha attinto all'analisi dei rapporti di potere e di autorità (Laeyendecker). Ma la sua attenzione, scrive Laeyendecker, va più alla questione dell'autorità, cioè alla legittimità dell'esercizio del potere che alla protesta contro l'esercizio del potere. Ma il fatto che non si può risolvere, secondo lui, il conflitto tra i valori ultimi - si ricordi l'espressione weberiana ritornata in forza dopo l'11 settembre perfino nei titoli di riviste serie, ‘sulla guerra dei dei', cioè l'impossibilità di decidere quale sia il valore ultimo - fa, secondo certi autori, di lui il padre della sociologia del conflitto. Si conferma la sua convinzione di una storia aperta, ma secondo un'ottica speciale, non tutto è conflitto per Weber. In alcune pagine del suo famoso "Economia e società", sviluppa il suo pensiero sulle relazioni sociali (primo capitolo). Per lui, il contenuto dell'azione reciproca gli uni sugli altri, può essere molto diverso e nomina : lotta, ostilità; amore sessuale, amicizia, pietà, scambio commerciale, ecc. Non sviluppa molto esplicitamente il concetto di conflitto ma bensì il concetto di lotta (nell'ottavo paragrafo), definisce la relazione sociale come lotta (Kampf) come la ‘chance' nella relazione sociale di fare trionfare la propria volontà contro la resistenza di uno o più partners (nella relazione). Per riuscirci ci sono mezzi di lotta pacifici (senza violenza fisica) o violenti. Weber chiama lotta pacifica anche la concorrenza, e distingue tra concorrenza regolamentata, e selezione. Quest'ultima copre il caso di una lotta latente per l'esistenza quando non c'è nessuna intenzione significata di lotta. Potere (Macht) significa poi la possibilità (più o meno grande) di far trionfare in una relazione la sua propria volontà, anche contro resistenze (t.1,Cap.1,§8). Dominazione (‘autorità') significa per Weber la possibilità di trovare persone pronte ad obbedire ad un ordine con contenuto determinato, "ogni vero rapporto di dominazione comporta un minimo di volontà di obbedire, di conseguenza un interesse, esteriore o interiore ad obbedire" (t.1,Cap.3,§1). Si nota per inciso che Weber è figlio del suo tempo, e sviluppa più una concezione dei rapporti verticali - per parlare in termini alquanto impropri - che di relazioni orizzontali. La sociologia del potere oggi è più conscia del ‘potere' della base, e dei meccanismi della reciprocità ‘orizzontale'. Anche nella Chiesa la riflessione sui rapporti fraterni non era messa a fuoco per secoli e fino al Concilio ha dominato, per esempio in ecclesiologia, un pensiero fortemente "ierarco-centrato". Non per niente i teologi e responsabili ecclesiali che incontravano il Movimentodei focolari negli anni '50 avevano reazioni molto diverse davanti a categorie come ‘l'amore reciproco' e ‘Gesù in mezzo', categorie fino allora non fondamentali, o più precisamente ‘d'importanza secondaria' per una riflessione sulla relazione sociale tra cristiani. Sembrava loro che mettessero in ombra il primo posto che spetta alla gerarchia e all'obbedienza che gli si deve! 

Tutto questo ci informa sui concetti di Weber legati all'idea del conflitto e la sua risoluzione. Ma Weber tematizza solo raramente il conflitto stesso. Forse il vero fondamento della sua concezione del conflitto, si trova nella sua convinzione che bisogna sempre legare l'analisi dei processi sociali legando le idee, i valori fondanti, agli interessi di chi li porta avanti. La domanda del sociologo non è quella del filosofo o del teologo, lui si chiederà: quel fenomeno sociale chi avvantaggia? E per lui, se lo deduce dalle sue analisi, gli interessi sono facilmente diversi, se non opposti! Ma Weber non approfondisce molto questa tematica. Bisogna piuttosto analizzare qualche suo caso specifico. Su questa pista mi pare che ci sia utile capire come Weber vedeva da sociologo il convivere con i conflitti, come risolverli, come superarli, ossia nel linguaggio del carisma, come lui vedeva la possibile'risurrezione' dei rapporti conflittuali nella relazione sociale! Ho approfondito per il miei lavori la sua sociologia religiosa ed ho trovato un esempio interessante. Weber nel paragrafo della sua sociologia religiosa  sulla ‘comunità emozionale' (t.2,cap.V,§5) sviluppa i rapporti tra l'impresa sacerdotale e il profeta e i suoi seguaci. Prende come punto di partenza tra l'altro l'esempio delle comunità cristiane primitive. Per lui, i sacerdoti in queste comunità emozionali dovevano tenere conto delle esigenze dei laici (più che per esempio nelle parrocchie medievali che Weber non considera più come comunità emozionali). Lui vede tra i laici tre forze: la profezia, il tradizionalismo del laicato ed il suo intellettualismo. L'analisi prosegue sul rapporto tra profeti e sacerdoti. I profeti portano più le esigenze etiche della religione e i sacerdoti - pensa al ruolo dei sacramenti nella Chiesa cattolica - sono più portati sul culto - diremmo ai sacramenti. Lui parla nel suo gergo degli elementi ‘magici' dell'impresa dei sacerdoti che chiama anche i ‘'tecnici del culto' (cita per il Vecchio Testamento, la reazione di Jahweh che non voleva olocausti ma piuttosto che si obbedisse ai suoi comandamenti). Weber dunque afferma una ‘tensione' tra sacerdoti e laici per i loro interessi diversi: culto e pratica etica, parla poi anche di ‘opposizione' - che mi sembra nella sua terminologia sinonimo di conflitto, un conflitto implicito per lo meno - duraturo tra i profeti e i loro seguaci e i rappresentanti della tradizione sacerdotale. Per Weber: «La santità della nuova rivelazione si opponeva alla santità della tradizione; e secondo il successo dell'uno o l'altro di queste due demagogie, il clero ha potuto concludere dei compromessi con la nuova profezia, adottare la sua dottrina o anche andare al di là di questa ultima, eliminare o essere eliminata lei stessa» (t.2,Cap.5,§5).  Weber nomina tutte le possibilità teoriche secondo il suo approccio ‘aperto' della storia umana. Sulla possibilità dell'eliminazione e l'adottare o anche sorpassare mi pare non ci siano difficoltà di comprensione. Il Weber più interessante viene fuori nel concetto di compromesso, ‘accordo' che negli ultimi anni ha destato molto interesse (vedi Social Compass, 1997,4), e ancora di più nel senso che adotta Troeltsch, e che cerca di tradurre l'idea che le tensioni, i conflitti impliciti o espliciti sono un elemento della vita sociale normale, e che si tratta, se sono tensioni fondamentali della vita, di non eliminarli ma farli giocare in modo che gli accordi raggiunti possono essere dinamici, aperti, senza che schiacciano gli elementi costitutivi, senza che i poli della tensione devono in un senso o l'altro sparire. Tornando all'esempio sviluppato da Weber, profeti e sacerdoti nella concezione attuale emergente nella Chiesa sono chiamati a vivere in reciprocità - in rapporti di pericoresi, o ‘trinitari' si scrive sempre di più, anche fuori dell'ambito Focolari. La recente evoluzione dell'ecclesiologia sotto lo stimolo dei teologi e della prassi, sotto la spinta dei nuovi movimenti, ha portato la Chiesa nella persona del papa a mettere nel famoso incontro della Pentecoste '98, in rilievo la co-essenzialità nella Chiesa dei carismi e del principio petrino, cioè dei profeti e dei sacerdoti. Non si tratta di eliminare uno dei due, ma l'accordo dei due deve rimanere aperto e ognuno ha qualcosa da portare. Siamo esattamente nella prima possibilità nominata da Weber. Come diceva uno dei miei colleghi sociologi, J. Séguy (conversazione con l'autore) si tratta nel concetto di compromesso in sociologia (weberiana), di leggere Calcedonia: unire senza confondere, distinguere senza separare! Se forse un giorno la riflessione sociologica risucirà a consacrare un termine diverso di quello del compromesso, che i non-sociologi confondono facilmente con compromissione, non si può sinora negare che Weber aveva fatto già una parte del cammino per evidenziare le possibilità di fatto di una ‘risurrezione' di rapporti conflittuali, di difficoltà, tensioni, nella relazione sociale, senza cadere in facili armonismi e senza mettere all'ombra l'importanza della dinamica continua del cambiamento nella vita sociale. 

Bibliografia

L. Coser, The functions of social conflict, London, Collier MacMillan P., 1964 (1956), 188 p.

L. Laeyendecker, Conflictsociologie, in L. Rademaker, H. Bergman, Sociologische stromingen, Utrecht, Spectrum, pp.55-87

J. Séguy, Christianisme e societé. Introduction à la sociologie de ErnstTtroeltsch, Paris, Cerf, 1980, 334 p.

M. Weber, Wirtschaft und Gesellschaft. Grundrisseder verstehende ociologie, Tübingen, Mohr (Siebeck), 1980 (1922), 945 p.

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