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Con contributi di: Luc Boltanski, Michael Burawoy, Annamaria Campanini, Axel Honneth, Paulo Henrique Martins.

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NUOVI PASSI DELL’AGIRE AGAPICO

A cura di Paolo De Maina

Si è svolto al Centro Congressi “Mondo Migliore” di Rocca di Papa dal 30 agosto al 1° settembre scorsi il seminario internazionale: “Servizio sociale professionale e agire agapico: riflessioni teoriche, processi operativi” proposto da Social-One in collaborazione con la Fondazione E. Zancan. Vi hanno preso parte una trentina di studiosi del Servizio Sociale provenienti prevalentemente dall’Italia, ma con presenze importanti dal Brasile, Argentina, Stati Uniti e dalla Romania. Molti di loro erano docenti di materie professionali in Atenei italiani e di altri paesi. Tutti, in modo aperto, continuo e fruttuoso si sono confrontati per focalizzare meglio il rapporto tra l’agire agapico, questa innovativa chiave interpretativa per le scienze sociali proposta da Social One ormai da alcuni anni,  e il Servizio Sociale. 

Nella sua presentazione introduttiva la coordinatrice di Social One, Vera Araújo, dopo aver fatto un excursus del percorso di Social-One dal 2005 ad oggi, evidenziava che «ogni Convegno, Seminario, Incontro ha significato un momento forte, una tappa foriera di novità». Infatti in tutti gli appuntamenti, via via si è stagliato il percorso di studio e ricerca sull’agape ed ora «vogliamo comporre anche in questo Seminario una comunità dialogante, consapevole che per una miglior comprensione della realtà sociale e delle persone che ne sono attori, è utile ascoltare e confrontarsi (…) consapevoli che il cammino della storia non si ferma e dunque bisogna lanciarsi verso il futuro con coraggio nonché verso spazi non ancora esplorati».

Il programma del Seminario prevedeva nel suo sviluppo una relazione introduttiva, dibattuta da due discussant, e tre sezioni di approfondimento e di dialogo.

La relazione che ha dato il via al seminario è stata proposta da Tiziano Vecchiato, Direttore Scientifico della Fondazione Zancan, che da alcuni anni condivide il cammino di Social-One. Egli ha messo in evidenza che uno dei «caratteri fondamentali dell’agire agapico è la capacità generativa. Per sua natura – ha proseguito – essa è moltiplicativa dei fattori a disposizione dell’azione professionale e in certe condizioni genera eccedenza che non è spiegabile con le normali categorie che il professionista ha a disposizione». Inoltre ha evidenziato come «il servizio sociale affondi le proprie radici professionali proprio nell’incontro con le persone. L’intenzione è di valorizzare le loro capacità e potenzialità. L’impegno di ascolto, orientamento e accompagnamento sono altrettanti modi di esprimerla, per aiutare promuovendo e condividendo responsabilità. I principi e i valori della professione hanno nel tempo trovato modo di esprimersi sul piano tecnico e metodologico misurandosi con questi problemi, nei contesti di vita delle persone, senza sostituirsi a loro, senza far prevalere un sapere tecnico, pur eticamente orientato, visto che il bene per ogni persona è diversamente considerato, vissuto, intenzionato da ogni persona. L’azione professionale, per incontrarsi con chi chiede aiuto, ha bisogno di riconoscere le diversità, i valori, le barriere, e quanto altro rende vicini e lontani, avversari e fratelli. La centralità della persona non rappresenta quindi soltanto un’opzione etica, visto che, ancor prima, è condizione tecnica per interpretare e realizzare l’incontro con l’altro, facendone - se possibile - condizione generativa di capacità che potrebbero sembrare fuori della portata di chi chiede aiuto».

Ha poi proseguito con una lucida e attenta analisi del cammino e della produzione scientifica e culturale fin qui prodotta da Social One e ha cercato di dare piste scientifiche e soprattutto applicative dell’agire agapico nel servizio sociale concludendo che il lavoro che ci si propone «è un incoraggiamento a scandagliare le potenzialità sconosciute delle relazioni di aiuto e dell’agire agapico, se e in quanto condizione generativa di eccedenza nel microcosmo della relazione e nel macrocosmo di una umanità che, soprattutto in questo momento, ha profondo bisogno di rigenerarsi, ben oltre le risorse a disposizione». 

Sono seguite le relazioni dei due discussant Anna Maria Zilianti - Docente di Metodi e Tecniche del Servizio Sociale - Università di Siena e  Angelo Lippi - Docente di Amministrazione e Organizzazione dei Servizi Sociali sempre dello stesso ateneo toscano.

Anna Maria Zilianti nella relazione di Vecchiato legge «un messaggio di sfida, di provocazione al servizio sociale e alla sua comunità scientifica e professionale che diventa poi il filo conduttore dell’intera relazione. Le domande che scaturiscono da una prima lettura, risultano cruciali per chiarire l’identità stessa dei professionisti dell’aiuto del servizio sociale e la rispondenza o meno al loro triplice mandato professionale, istituzionale e sociale: l’azione professionale del servizio sociale ha realmente un benefico effetto moltiplicatore? Le risorse a disposizione del servizio sociale possono giustificare l’eccedenza che può generarsi in condizioni particolari? I mandati del servizio sociale professionale contemplano un donare senza contropartite? La relazione di servizio sociale che si instaura con le persone, le organizzazioni e le comunità di vita sviluppa o può sviluppare processi di apprendimento e di cambiamento in grado di valorizzare le differenti soggettività e culture o, viceversa, promuove interventi solo risarcitori, che sollecitano  compromissori  adattamenti sociali?» Questa analisi mette in luce la vitalità e la novità della proposta dell’agire agapico e la Zilianti, dopo un’interessata e appassionata disamina della relazione di Vecchiato conclude dicendo che «l’agire agapico può essere la leva per dare impulso al cambiamento. I professionisti potrebbero trarne linfa per recuperare ancora una volta i fondamentali che ne costituiscono l’identità. L’agire agapico potrebbe far sperimentare alle persone che accedono ai servizi, relazioni in cui il dono diventa anche la compartecipazione del professionista alla sua vita, alla sua sfera personale, alla sua affettività, alle sue emozioni, ai suoi bisogni. Se questa è una prospettiva auspicabile, l’agire agapico deve inserirsi tra i componenti dell’azione professionale, in ogni caso ordinata dalla sua metodologia e disciplinata dalla sua organizzazione».

Angelo Lippi ha affermato che «con l’agire agapico ci sono le condizioni per esplorare incontri generativi che possono diventare un surplus da sviluppare anche all’interno delle organizzazioni pubbliche, private e del terzo settore».

Inoltre egli sottolinea che «il valore aggiunto dell’agire agapico, si dice nelle pubblicazioni in materia, non può essere “imposto” e nasce dal sentire personale, è dono senza contropartita, non si aspetta risultati, ecc. ecc., ma a volte c’è ed è importante riconoscerlo come risultato, ma anche come parte del processo di aiuto, per  collocarlo fra le dimensioni valoriali, se non tecniche, che potrebbero entrare ad arricchire quelle già presenti in professioni come quella dell’assistente sociale».

Infine, per Lippi, «sarà interessante vedere la valenza educativa che potrà assumere il ragionare sull’agire agapico ed estendere la discussione all’interno del servizio sociale professionale e delle competenze professionali con il quale questo si integra. Può essere un’altra dimensione sulla quale ipotizzare confronti e sensibilizzazioni all’interno delle professioni e con le istituzioni».

Da subito è scattato tra i presenti un clima collaborativo e stimolante che si avvertiva anche nei momenti di pausa e di intervallo dove si continuava a discutere e ad elaborare insieme. 

Come già detto, il seminario si è snodato in tre sezioni di approfondimento: la prima coordinata da Rosalba De Martis, dottore in Servizio Sociale all’Università di Sassari, su “La relazione agapica come condizione generativa di eccedenza riconoscibile in termini di valore professionale, personale e sociale”, una seconda coordinata da Paolo De Maina responsabile dei Servizi Sociali del Decimo Municipio di Roma Capitale su “Cura e prendersi cura” ed una terza del Prof. Colasanto dell’Università Cattolica di Milano su “Agire agapico nelle organizzazioni e nelle istituzioni: ostacoli e criticità per nuovi modi di intendere la costruzione del bene comune”. 

In tutte le sezioni vi è stato un continuo scambio, ricco di prospettive.

Rosalba Demartis ha posto l’attenzione «sulla centralità della relazione, in questo caso agapica. Il concetto di relazione è centrale nel servizio sociale, trattandosi di una disciplina che si occupa di teorie, metodi e tecniche volte a studiare e intervenire nelle condizioni di bisogno di persone, gruppi e comunità, per migliorare il benessere personale e promuovere lo sviluppo comunitario e sociale, e di una professione che nasce e si sviluppa a partire dal lavoro con le persone (…) sottolineando che l’oggetto peculiare del servizio sociale sono le relazioni, i nessi, i legami tra le persone. Non vi è modello teorico operativo, tra quelli in uso da 70 anni in Italia, che non tratti teoricamente e metodologicamente la conduzione della relazione, la sua genesi, la sua conclusione, i suoi possibili risvolti sul piano personale e ambientale».

Inoltre il contributo di Demartis alla 1ª sezione ha evidenziato che «il concetto di azioni e di relazioni agapiche mostra, quindi, una sua utilità per il servizio sociale  su almeno due direttrici di riflessione e di azione: sul piano strettamente concettuale,  nel processo di revisione ed evoluzione disciplinare in corso, trattandosi di una categoria che mostra una sua forte coerenza con il bagaglio valoriale e teorico già elaborato dalla disciplina di Servizio Sociale; sul piano metodologico e delle tecniche più direttamente connesse alla gestione della relazione di aiuto e degli strumenti professionali, valorizzando contenuti pratici espressi dai diversi modelli teorici in ordine all’ascolto, all’empatia, alla personalizzazione, al counseling e all’empowerment». 

Nella relazione su “Cura e prendersi cura” De Maina ha sottolineato che «tra i tanti significati, etimologici e no, ci piacerebbe indicarne uno in un’altra lingua - quella inglese - di “care”, che oltre al più classico prendersi cura ha un significato più ampio e forse anche più “agapico” cioè: mi interessa, mi interroga, mi sollecita. Ma rimanendo nel nostro specifico spettro d’azione delle scienze sociali, il tema del prendersi cura diviene centrale nel lavoro sociale sino a confondere, acriticamente e con gravi rischi, i confini tra cure formali (in capo a servizi e operatori) e cure informali (proprie della famiglia e delle reti di solidarietà spontanee)».

Ponendo l’accento del prendersi cura come oggetto e esito di relazione, De Maina ha anche evidenziato che «nelle relazioni di aiuto, questa impostazione [agapica e relazionale] induce l’ideazione e l’introduzione di soluzioni inedite e prima impensabili che a loro volta favoriscono sensibili modificazioni nelle modalità di intervento delle istituzioni preposte alla cura. In altre parole, da questo nuovo modo di organizzare il rapporto tra i soggetti in gioco, scaturisce un terzo elemento, inteso come qualcosa di nuovo in grado di rivoluzionare le vecchie impostazioni e di affrontare in modo completamente diverso le singole situazioni».

Michele Colasanto nell’ultima sezione, dedicata al rapporto con le Istituzioni, pone un forte accento sulla diffusa convinzione nelle attuali politiche di welfare «che un eccesso di protezione sociale non solo è spreco di risorse, ma produce effetti perversi, induce senso di dipendenza, assuefazione all’assistenzialismo. E’ un dibattito antico. Tocqueville ne parlava già nelle sue lettere sulla povertà a proposito del proto-welfare nelle contee dell’Inghilterra del suo tempo. Ma anche in questo caso, più di una esperienza suggerisce che di fronte a una maggiore severità delle politiche, le tante asimmetrie che segnano i beneficiari, penalizzano inevitabilmente i più fragili». Continuando sull’analisi critica dell’attuale situazione, Colasanto afferma che una delle prime questioni nelle politiche sociali, quella di tipo organizzativo, riguarda, in particolare, «le modalità con cui possono svolgersi le relazioni di cura: il tempo, lo sguardo stesso (quel minuto in più di attenzione, stigmatizzano i pazienti, i loro familiari, ma anche gli stessi operatori), nei cui confronti c’è in corso un processo di taylorizzazione che risulta molto evidente in sanità, ma che non risparmia altri aspetti del welfare. Ci sono problemi di efficienza che partono dalla necessità di ridurre la spesa, ma che attraverso la riduzione del personale, o l’esternalizzazione dei servizi, incidono sulla qualità dei servizi ed anzi, ipotizzano modalità di organizzazione del lavoro che scontano questo effetto, lo portano a “standard». In conclusione per il relatore «l’agire agapico può però intervenire sugli effetti denunciati, sostenendo, ad esempio, una più stretta compenetrazione tra istituzioni e organizzazioni e associazioni della società civile, della sua capacità di volontarietà». E alla fine lancia una sfida evidenziando che l’agire agapico «è un codice che pensiamo binario, ma che, in eccedenza, va pensato “trinario”, con il coinvolgimento sempre di un “terzo” che nel respiro agapico coinvolge il mondo intero, per noi incomprensibilmente coinvolto in un atto di salvezza totale».  

Molto importanti ed apprezzati gli interventi di alcuni professionisti provenienti da zone continentali come Angela Maria Bezerra Silva del Brasile che ha delineato la storia e i tratti fondamentali del Servizio Sociale nel suo Paese, Maritza Vasquez Reyes proveniente dagli Stati Uniti che ha dato uno spaccato di questa Nazione con una ricca tradizione di servizio sociale e Rolando Cristão, dell’Argentina che ha posto il problema del rapporto del servizio sociale e la comunità partendo dall’esperienza del suo Paese. 

Silva ha posto l’accento sul fatto che in Brasile e in tutta  «l’America Latina non si definisce il Servizio Sociale come una professione di aiuto, ma piuttosto come una professione che lavora per la trasformazioni delle cause strutturali della povertà e dell’emarginazione, attraverso la mobilitazione, conscientizzazione, partecipazione e empowerment delle classi popolari e di tutta la società civile».

Inoltre il Brasile ha il «secondo corpo professionale del mondo, con circa 104 mila assistenti sociali, secondo solo agli USA. La prima scuola di Sevizio Sociale brasiliana è nata nel 1936, il primo codice etico che regola la professione risale al 1947 e nel 1953 il servizio sociale è stato regolamentato con l’obbligo di laurea per l’esercizio della professione». 

Maritza Vasquez ha comunicato, tra il resto, che «negli USA dal 1940 due erano le scuole più importanti di servizio sociale e che proponevano due approcci completamente diversi: 

1) La scuola diagnostica di servizio sociale che presentava una forte sottolineatura della scienza e che spesso prendeva dalla teoria psicoanalitica gran parte dei propri fondamenti per dare alla professione una posizione scientifica pertanto molto legata alla prospettiva strumentale. 

2) La Scuola Funzionale di servizio sociale che sosteneva che la persona ha un ruolo nel funzionamento umano e non è una casualità fissa.  

In quegli anni l’enfasi era più sul “processo” e sull’aiutare la gente a trovare vie nuove e costruttive. Nel 1950 Helen Perlman ha elaborato il “problem solving casework” nel tentativo di conciliare i due modelli precedenti. Si riferiva al processo logico legato alla soluzione dei problemi sociali e nell’individuazione di una serie di passi da fare per risolverli. Era pur sempre un approccio lineare che considerava l’operatore del servizio sociale come “l’esperto”».

Rolando Cristão, anche attingendo dalla propria esperienza diretta sia scientifica, culturale che operativa nel suo Paese, ha detto che «in questa realtà sociale, il fatto che ciascuna dimensione sia in grado di sviluppare autonomamente le proprie caratteristiche e capacità, ci offre un concetto di grande importanza tanto per il mondo delle istituzioni, delle organizzazioni e delle politiche pubbliche, cioè: quello della partecipazione dei soggetti coinvolti nei processi di diagnosi, programmazione, implementazioni e valutazione di attività, progetti o programmi nell'ambito delle politiche sociali. Ed è proprio la partecipazione di attori che, avendo come motivazione primaria l’agape, che fa sì che si possano trovare nuove formule istituzionali e forme organizzative più adeguate al bene comune».  

Importante e preziosa anche la presenza di due assistenti Sociali della Romania che hanno testimoniato come il loro Paese sta riannodando il filo della propria storia dopo anni difficili, anche nel campo delle politiche sociali.

La partecipazione al dialogo sia nei momenti seminariali, ma anche in tutte le pause e gli intervalli ha dato una dimensione di un incontro fondante e “generativo” che apre nuove piste e nuove incursioni culturali nel vasto campo del servizio sociale professionale e nelle politiche sociali.

Nelle conclusioni Tiziano Vecchiato ha sottolineato che il seminario ha indicato strade e possibilità da sperimentare e si chiedeva se «agire agapico e agire professionale hanno qualcosa da dirsi e da darsi. Se l’agire professionale è fedeltà a protocolli, procedure, regole, evidenze… troverà difficoltà a lasciare spazio all’incontro con l’altro. Se l’agire agapico supera le barriere della diffidenza, l’incontro  può generare eccedenza, cioè più di quanto ragionevolmente ci si potrebbe aspettare. Insieme possono fare la differenza nel rigenerare speranza, risorse, possibilità. Ma questo vale anche in tempi di crisi, di recessione, di razionalizzazione del nostro sistema di protezione sociale? Se il welfare è soltanto redistributivo, la risposta è negativa. Se invece il welfare  non è solo costo ma anche investimento, se riesce ad essere rigenerativo di risorse, allora i giochi si riaprono. I risultati del seminario indicano strade e possibilità da sperimentare». 

Vera Araújo chiudendo i lavori avvertiva che anche questa volta il seminario ha rappresentato un passo nuovo nel lavoro di ricerca che Social One sta svolgendo e si augurava che si potesse continuare su questa strada.

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Chiara Lubich

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