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La non violenza come lotta alle ingiustizie fondamento di una società basata sulla fraternità 

Alberto L'Abate

Sociologo, docente di "Sociologia dei conflitti e ricerca per la pace" nel corso di laurea in "Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti" presso l'Università di Firenze. Presidente nazionale dell'IPRI.

Sono un sociologo, ed insegno "Sociologia dei Conflitti e ricerca per la pace" al nuovo corso dell'Università di Firenze  che  dà una laurea in "Operazioni di Pace, gestione e mediazione dei conflitti". Il corso ha attualmente circa 200  iscritti. Sono inoltre presidente nazionale dell'IPRI (Italian Peace Research Institute) che è la sezione italiana dell'IPRA (International Peace Research Association) che raggruppa i principali ricercatori per la pace del mondo. La sezione italiana si è recentemente fusa con la Rete Italiana per i Corpi Civili di Pace che unisce molte organizzazioni che si occupano di intervenire con la nonviolenza in situazioni di conflitto anche all'estero, per prevenirne lo scoppio, per interrompere l'uso delle armi e trovare soluzioni nonviolente, per riconciliare le parti dopo un conflitto.  Non faccio parte del Movimento dei Focolari ma conosco da anni la Cittadella di Loppiano (Incisa Vald'Arno - Firenze) tramite amici comuni. Questi fanno parte del Servas, ovvero "porte aperte per la pace", un'organizzazione ispirata da principi gandhiani cui aderiscono centinaia di migliaia di persone di tutto il mondo che offrono ospitalità per qualche giorno ai membri di altri paesi che desiderano visitare il loro, ed anche conoscere persone che abbiano i loro stessi interessi. Oppure  di Gandhigram, un villaggio del Sud dell'India, nel Tamilnadu, ispirato alle idee di Gandhi, che ha anche una università con la quale la mia è gemellata.

Il lavoro che svolgono i membri del Movimento dei Focolari nel mondo - di cui in questi giorni abbiamo avuto una breve illustrazione - è meraviglioso e va sicuramente potenziato ed esteso. E' un lavoro che si iscrive a buon titolo in quello che, nella teoria della nonviolenza, si definisce il "progetto costruttivo" che è una delle due gambe della nonviolenza. Ma per raggiungere quella società fraterna di cui si parla nel titolo del convegno  c'è bisogno anche dell'altra gamba che, nei termini di Gandhi, è definita Satyagraha e che, un nostro amico prete operaio di Viareggio morto qualche anno  fa, Don Sirio Politi, aveva definito "Lotta come amore". Non vorrei che quello che dirò fosse sentito come una critica al lavoro dei focolarini, ma come quella che Capitini definiva come "aggiunta nonviolenta". Capitini, che è stato maestro di nonviolenza sia mio che di mia moglie, è il primo ad aver fatto conoscere Gandhi in Italia ed ha parlato di nonviolenza anche durante il fascismo che non lo vedeva di buon occhio, tanto da metterlo anche in prigione per le sue idee antifasciste.

Ma perché ritengo essenziale che al progetto costruttivo si leghi anche la lotta nonviolenta contro le ingiustizie? Perché il mondo è pieno di ingiustizie e di soprusi, tra un Nord che si arricchisce continuamente ed un Sud che, o imita il Nord e ne diventa complice, oppure si impoverisce. E lo stesso avviene tra  classi sociali diverse, con alcune che diventano sempre più ricche ed altre sempre più povere. E con la guerra che diventa uno strumento "normale" per difendere i privilegi dei  ricchi e dei potenti contro gli altri. Una società fraterna ha bisogno invece di rapporti ugualitari, tra simili, e non squilibrati come quelli tra padrone e schiavo, o tra ricco (anche se questo fa l'elemosina) ed il povero. In questo momento siamo immersi in quella che Bush ed i suoi collaboratori hanno definito la "Guerra infinita" contro il terrorismo. La guerra in Iraq e quella che stanno preparando contro gli altri paesi da loro definiti "stati canaglia" come l'Iran, la Siria, ecc, in realtà invece di sconfiggere il terrorismo lo sta rinfocolando e riattizzando tanto che ormai la vita dei cittadini dei paesi ricchi è sempre più insicura a causa di possibili attacchi terroristici. Per questo, secondo me,  se vogliamo portare avanti quel "ripudio della guerra" di cui ha parlato Zani il primo giorno, dobbiamo studiare e mettere in pratica anche la seconda gamba della nonviolenza, e cioè il Satyagraha.

Ma vediamo meglio questo problema. Zani per portare avanti questo ripudio alla guerra, oltre naturalmente al lavoro dei focolarini che, come abbiamo visto, può essere definito di presa di coscienza e di costruzione di una società alternativa, basata su rapporti fraterni, parla della necessità di un forte organismo internazionale che sostituisca i singoli stati nella ricerca di un mondo senza guerra, il che è esattamente quello che dice il preambolo della Nazioni Unite. Nei termini del bel testo sulle vie della guerra e della pace di Norberto Bobbio, che si è autodefinito allievo di Capitini, tre sono le forme possibili di pacifismo: 1) quello istituzionale; 2) quello strumentale; 3) quello finalistico.  Zani parla di due delle forme di pacifismo individuate da Bobbio, quello finalistico (si arriva alla pace cambiando l'uomo e rendendolo più pacifico), e quello istituzionale (dando vita ad una istituzione sopranazionale che risolva i conflitti prima che questi esplodano). Bobbio individua anche una terza forma di pacifismo che  definisce strumentale, cioè quella che cerca la pace lottando per ridurre gli strumenti di guerra, ad esempio: la costruzione e la vendita delle armi, o smilitarizzando la società nella quale viviamo. Ma Zani non ha parlato di questa via, ha anzi criticato come insufficiente il pacifismo. Ma se vediamo le Nazioni Unite come sono attualmente  e consideriamo la loro azione, non possiamo non constatare come il preambolo sia un ricordo antico e che la realtà è quella di un organismo paralizzato da un consiglio di sicurezza ristretto formato da cinque nazioni, con diritto di veto. Inoltre queste cinque nazioni sono le più grandi costruttrici e venditrici di armi del mondo (oltre l'85 % delle grandi armi). Come possiamo sperare di arrivare ad una società, non tanto fraterna ma almeno più pacifica, quando il bello ed il brutto, e le grandi decisioni sul fare o non fare le guerre, sono in mano ad un organismo controllato dai paesi "venditori di armi"? Senza una grande movimento per la  pace  e senza una forte pressione dal basso delle popolazioni che abbiano preso coscienza dell'importanza della pace, e che  lavorino e lottino concretamente per raggiungerla, anche attraverso una riforma democratica dell'ONU, non avremmo quell'organismo sopranazionale auspicato da Zani e ci saranno sempre più guerre. Ma Zani ha ragione di criticare il movimento per la pace perché spesso è solamente reattivo (lotta contro la guerra, e spesso nemmeno contro tutte le guerre ma solo contro alcune di queste,  ma non per la pace) e frequentemente non capisce le ragioni ed i metodi  della nonviolenza, la quale  unisce alla lotta per la pace anche il lavoro costruttivo per raggiungere una società diversa e più equa dell'attuale.

Ma un'altra aggiunta che richiama però quanto detto ieri (alla tavola rotonda) dall'esperto ambientale, viene dal movimento gandhiano che individua tre livelli di nonviolenza e di pace. Narayan Desai - un nostro amico indiano, figlio del segretario particolare di Gandhi (morto nelle carceri inglesi dove era imprigionato insieme al Mahatma), allevato da Gandhi stesso nella comunità di vita dove abitava con la sua famiglia,  e collaboratore dei due principali successori di Gandhi , Vinoba e Yahaprakash Narayan -, commentando il fatto che  nelle preghiere Hindu si ripete tre volte Shanti (pace), dice che il primo Shanti si riferisce alla pace in se stessi (se non si è in pace con se stessi non si può portare la pace nel mondo); la seconda pace è quella con gli altri uomini di qualsiasi religione, etnia, classe, nazione, ecc.; la terza pace è quella con la natura che è intorno a noi.

Ma come accennato prima, il problema di fondo è quello della lotta alle ingiustizie: se ricordiamo la profezia di Isaia non ci sarà pace finché non ci sarà giustizia. Ma come si può combattere contro le tante ingiustizie che affliggono il mondo senza aumentare l'odio e le inimicizie che sono due elementi fondamentali che impediscono all'uomo di sentirsi parte della stessa (nei termini di Chiara Lubich) unità? Come è possibile conciliare la fraternità con la lotta nonviolenta contro le ingiustizie ? Anche per questo Gandhi ci dà la risposta: distinguendo tra peccato e peccatore;  bisogna amare il peccatore e cercare di convertirlo e non ucciderlo o disprezzarlo, ma bisogna lottare, con il Satyagraha, ovvero con la lotta con la forza della verità,  contro il suo peccato.

E' solo unendo le due gambe della nonviolenza, la "lotta come amore" di Don Sirio, ed il progetto costruttivo, come quello portato avanti dai focolarini, che si potrà sperare di avere una società migliore, basata su rapporti egualitari e fraterni, e nella quale la guerra sia un ricordo dei tempi passati.

Ma prima di arrivare alla parte  conclusiva vorrei illustrare un esempio concreto sulla necessità di una lotta nonviolenta alle ingiustizie preso dal recente maremoto nel Sud Est asiatico, avvenuto proprio mentre io, mia moglie, e due delle nostre figlie, ci trovavamo in India, uno dei paesi colpiti da questa terribile tragedia che ha visto morire più di 250.000 persone.  Questo esempio mi è venuto in mente anche perché nel bell'albergo in cui io e mia moglie siamo stati ospitati in questi giorni, è previsto per domani un pranzo a base di gamberetti. Parlandone con il proprietario mi sono reso conto che ingenuamente lui, e  tante altre persone che li mangiano, non sanno che molte delle morti causate da quella catastrofe sono dovute proprio all'allevamento  industriale di gamberetti che le multinazionali hanno diffuso nei paesi colpiti dal maremoto. Per allevare questi gamberi vengono costruite delle vasche profonde un metro  e larghe un centinaio di metri quadrati.In esse vengono pompate le acque salate del mare che vengono poi  mescolate con  le acque dolci  delle fonti locali. In queste vasche vengono messi i gamberetti appena nati, che nutriti con cibi  chimici (che probabilmente, tra non molto - se pensiamo alle mucche pazze - ci daranno i gamberi pazzi che invece di camminare all'indietro cammineranno in avanti), in pochi mesi crescono e vengono venduti nei mercati dei paesi ricchi, anche il nostro. I profitti di questi allevamenti, per le  società multinazionali che li promuovono, sono altissimi e questo spiega la loro ricerca affannosa di sempre nuovi posti dove impiantarli. Ma i danni per le popolazioni locali e per l'ambiente sono ancora più grandi. Le acque dolci che servivano per la vita quotidiana delle popolazioni locali, a causa delle infiltrazioni nel terreno delle acque marine diventano imbevibili, le donne che lavoravano alla mietitura del riso, che in quelle zone ha anche tre raccolti l'anno, non hanno più lavoro soppiantate da poche persone che gettano il cibo ai gamberetti e li raccolgono quando sono pronti ad essere messi nel mercato, i pescatori rischiano la vita risucchiati dalle pompe che prendono l'acqua marina per immetterla nelle vasche. Ma oltre a questi danni notevoli per le popolazioni locali danni ancora maggiori vengono fatti all'ambiente, danni che hanno eliminato molte delle protezioni naturali che prima le popolazioni avevano. Per costruire le loro vasche infatti le industrie hanno spesso eliminato intere foreste di mangrovie (che le popolazioni locali chiamano "gli alberi che salvano la vita"); oppure hanno tolto dalle spiagge le dune, anche queste una  protezione contro i danni di fenomeni come il maremoto. Inoltre, dopo un certo numero di anni le vasche desertificano il terreno in cui sono inserite, rendendolo inutilizzabile anche per la continuazione delle coltivazioni di gamberi, perciò le industrie  devono trovare altre zone portando i danni di queste anche altrove. Dagli studi e dalle corrispondenze fatte sul maremoto sono emersi chiaramente questi problemi, e cioè che la distruzione delle mangrovie e delle dune di sabbia delle spiagge è stata una delle cause della morte di tante persone che altrimenti si sarebbero salvate. Infatti le popolazioni tribali che vivevano nelle foreste, anche nelle isole Adamane che pure sono state al centro del maremoto e nelle quali il numero di morti è altissimo, si sono salvate grazie proprio alla presenza degli alberi. Attualmente i proprietari di questi allevamenti, non contenti, e forse nemmeno consci, del loro contributo alla morte di tante persone,  stanno chiedendo di avere dei rimborsi per i danni avuti dal maremoto.  Alcuni  nostri amici gandhiani da anni stanno combattendo con la nonviolenza contro queste industrie, sottolineandone i loro effetti negativi sia per la popolazione della zona che per l'ambiente. In particolare le donne hanno fatto, per vari anni, blocchi nonviolenti per impedire che venissero costruiti altri impianti. Ed è stato fatto  anche un ricorso alla Corte Suprema indiana che ha dato loro ragione emanando  un decreto che impedisce la costruzione di nuovi impianti di questo genere. Ma spesso, grazie alla corruzione delle autorità locali ed anche della polizia, questi allevamenti continuano ad essere portati avanti. Perciò la lotta continua ogni giorno. Ora questi amici chiedono che, invece di dare soldi alle ditte dei gamberi, vengano invece ricostituite le protezioni ambientali che c'erano prima in modo da proteggere le popolazioni locali da altri possibili disastri.[1]

Si potrebbe pensare: ma a che sono servite queste lotte se malgrado la sentenza a favore della Corte Suprema molte di queste industrie continuano ad operare? Ma, secondo me,  è sbagliato questo modo di ragionare. Dovremmo invece pensare a quante  più persone sarebbero morte a causa del maremoto se non ci fosse stata questa opposizione delle popolazioni locali e queste lotte nonviolente contro i loro impianti che hanno sicuramente reso più difficile la loro costruzione ed la loro diffusione in queste zone. Per questo, secondo me, la lotta nonviolenta è servita a prevenire la morte di molte persone. Lo stesso si può dire della guerra: la lotta nonviolenta può ridurre le ingiustizie nel mondo  rendendo  inutile il ricorso alle armi per combattere contro quelle stesse ingiustizie. Il problema aperto è semmai questo: se solo in pochi luoghi e poche persone sono pronte ad usare la lotta nonviolenta contro queste ingiustizie,  gli allevatori di gamberetti industriali, o in altre zone,   i fabbricanti di armi, di fronte  a lotte del genere, si sposteranno  in altri luoghi dove la gente non è pronta a combatterli con queste stesse armi, e l'avranno vinta. Perciò è necessario che questa capacità di lottare con la nonviolenza sia estesa in tutte le zone del mondo. E questo richiede un grosso impegno ed un  grande sforzo.

Per concludere: la vostra fondatrice Chiara Lubich parla del suo movimento come di una "rivoluzione dell'amore". Ieri è stata inoltre  presentata la traduzione italiana di un libro di un sociologo che mi sta molto a cuore, e che considero un mio maestro: P. Sorokin, Il potere dell'amore, Città Nuova, Roma, 2005, che sottolinea come quella dell'amore sia  la forza più grande del mondo. Gli amici gandhiani parlano della necessità di una "rivoluzione totale": una rivoluzione del cuore, della mente, dei rapporti sociali, della cultura, dell'economia, e della struttura sociale. Credo che la rivoluzione dell'amore sia un passo fondamentale di questa rivoluzione totale, e la anticipa, che però non debba limitarsi ai rapporti interpersonali tra gli esseri umani ma che si debba  estendere  anche agli altri aspetti. Quattro sono gli impegni che, secondo i gandhiani, fanno parte di questa rivoluzione totale: 1) la coscientizzazione delle persone (ricordiamoci la lezione di Freire, il grande pedagogista sud-americano); 2) l'organizzazione della popolazione, soprattutto dei più poveri ed emarginati che sono quelli che subiscono, spesso passivamente e senza reagire, la maggior parte delle ingiustizie; 3) la lotta nonviolenta contro le ingiustizie, appunto quella che Don Sirio chiamava la "lotta come amore" perché è intesa a combattere le ingiustizie ed a liberarne non solo le persone che le subiscono ma anche coloro che le  perpetuano, spesso anche senza esserne del tutto coscienti; 4) il programma costruttivo ed un progetto  alternativo che vada verso una società più giusta e fraterna come quella che i gandhiani ed i focolarini stanno cercando di creare.

Se i focolarini accettano questa "aggiunta" nonviolenta ed oltre al progetto costruttivo che portano avanti in modo estremamente valido ed istruttivo si preparano, ed educano anche  gli altri, ad usare la lotta nonviolenta contro le ingiustizie, la strada verso una società basata sulla fraternità,  più giusta e senza guerre, anche se difficile e lunga, può essere più rapida e di successo.



[1] Su questo problema si vedano i libri di tre studiose italiane che hanno approfondito questo aspetto: Laura Coppo, Terra, Gamberi, Contadini ed Eroi, Editrice Missionaria Italiana, 2002, Bologna ( recentemente tradotto e pubblicato  in inglese con una presentazione di Vandana Shiva, con il titolo: The Color of Freedom, Common Courage Press, Monroe, Maine, USA);  ed il gioco di ruolo, per l'educazione ambientale nelle scuole,  di Elena Camino e Laura Colucci, Gamberetti a tavola: un problema globale, EGA, Torino 2000, 2a ediz.

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Chiara Lubich

L'amore fraterno stabilisce ovunque rapporti sociali positivi, atti a rendere il consorzio umano più solidale, più giusto, più felice...

-Chiara Lubich

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