Rolando Cristao

I rapporti nel lavoro sociale comunitario alla luce del paradigma dell'unità.

Esperienza del Centro Comunitario Unità di Buenos Aires

Rolando Cristao
Esperto e consulente in Politiche Sociali, membro dell'équipe di valutazione dei Programmi Sociali del Ministero nazionale dello Sviluppo Sociale dell'Argentina.

Sono un assistente sociale, specializzato nella promozione comunitaria. Quest'esperienza che vi propongo, pur nella sua brevità, riguarda un lavoro di promozione sociale che sto svolgendo assieme ad un'équipe composita e numerosa,  in parallelo con il mio incarico nel Ministero di Sviluppo Sociale Nazionale. 

Si tratta di un Centro Comunitario sorto oltre 15 anni fa, nella provincia di Buenos Aires (Argentina), nella località "La Matanza", che ha una popolazione di 1.500.000 persone, delle quali il 70 % sono sotto la soglia della povertà. Il  progetto si sviluppa in una Comunità di sei quartieri dove abitano 16.000 persone.

E' un'azione complessa di sviluppo comunitario che ha come riferimento l'esperienza e la prospettiva dell'unità a cui s'ispirano i lavori di questo Convegno.

L'obiettivo, pur ardito, che ci poniamo, è la soddisfazione non soltanto dei bisogni materiali, ma anche delle necessità umane fondamentali che  abbiamo raggruppato attorno ai seguenti aspetti: lavoro, rapporti sociali, ricerca di senso e autorealizzazione, salute, abitazione, istruzione e comunicazione.

A fondamento  di tutto il nostro lavoro abbiamo posto il tipo di rapporti personali e sociali che cerchiamo di stabilire fra operatori sociali e le persone ed i gruppi della Comunità. In questo contesto, le categorie fondamentali che ci hanno guidato sono state, tra le altre, le seguenti: persona, relazione, unità/distinzione e reciprocità.

1.  La persona: essere in relazione

Siamo partiti dal cercare di dare attuazione pratica al principio della dignità della persona umana, cercando di avere un profondo rispetto per ogni persona, per le sue potenzialità, capacità, autodeterminazione, cercando la sua piena partecipazione nella gestione della propria promozione.

Questa prospettiva ci ha fatto rompere, nel nostro intervento professionale, con la visione che l'assistente sociale alle volte può avere della persona alla quale porta aiuto solo in qualità di cliente, assistito, beneficiario, o semplice oggetto d'intervento. Noi siamo convinti che l'altro non può che essere il soggetto protagonista della sua trasformazione e crescita, il "co-soggetto dell'azione sociale" - come ci piace chiamarlo. 

Questo ci ha aiutato ad evitare non soltanto ogni paternalismo e assistenzialismo, ma anche il clientelismo di cui sono sempre tentati i partiti politici, almeno nelle nostre terre, nell'implementare le politiche sociali.

Un ambito primario nel quale costatiamo l'importanza di quest'atteggiamento è quello lavorativo: in Argentina la situazione è difficilissima, con più del 20% di disoccupati tra la popolazione occupabile e con il 40% di attività in nero tra i lavoratori, il che significa sfruttamento, insicurezza sociale e assenza di contributi pensionistici.

Nel nostro Centro curiamo l'organizzazione di corsi per la formazione professionale e possiamo affermare con franchezza che le persone che partecipano ai vari tipi di corsi si dichiarano entusiaste. Nel corso per cameriere, ad esempio, si è cercato di suscitare prima di tutto la nascita fra i giovani di rapporti costruttivi. Il clima creatosi è stato talmente positivo che i partecipanti hanno trovato motivazione e nuove energie per cercare di uscire dalla loro situazione di disoccupazione. A due mesi dalla conclusione dei corsi, ventisette dei cinquanta giovani corsisti hanno trovato lavoro (cosa da noi molto sorprendente). Ciò ci ha confermato ancora una volta quanto importante siano il gruppo ed i rapporti instaurati per suscitare autostima, una giusta valorizzazione di sé e promuovere iniziative per trovare soluzioni a situazioni che sembrano insuperabili. Le persone rimangono colpite dal nostro modo di rapportarci tra noi operatori e con loro, proprio per la fraternità che si stabilisce fra tutti.

Recentemente, una signora che seguiva un corso per panettiere ha risposto alla nostra domanda sul perché era venuta da noi dicendo: "Perché qui c'è un clima diverso". La parola "clima" credo che sia significativa per comprendere come le persone della Comunità percepiscono il tipo di relazioni umane che cerchiamo di costruire e che li realizza proprio come persone.

All'inizio dell'anno, Alfredo, una persona della Comunità, ha chiesto di lavorare come volontario nel Centro, dicendoci: "Ho avuto sempre un sogno: fare qualcosa per aiutare i disoccupati a trovare un lavoro; oggi, quando è nato "l'ufficio per l'impiego" presso il Centro ho capito che era arrivato il momento di realizzare questo sogno". Così Alfredo ha incominciato ad impegnarsi con noi come volontario. A questo suo impegno entusiasta è seguita però anche una coincidenza molto positiva: qualche tempo fa un suo collega di lavoro che stava andando in pensione, contagiato dal suo entusiasmo, ha deciso di passargli il suo portafoglio clienti, nel quale si trovava anche casualmente una delle più importanti agenzie di lavoro della nostra zona.  Adesso quest'agenzia, venuta a conoscenza della nostra Comunità, sta raccogliendo i curricula di tanti disoccupati del Centro e collabora attivamente per trovare loro lavoro.

Un'altra azione che ci impegna particolarmente è quella per il sostegno alla micro-imprenditorialità. Nell'assistenza ai potenziali piccoli imprenditori della Comunità costatiamo come essi rimangono colpiti dalla serietà con cui svolgiamo questo compito. Fino ad ora abbiamo supportato cinque piccole realtà aziendali: una pizzeria, un laboratorio di cucito, una pasticceria, una falegnameria e una calzoleria. Tutti i loro dipendenti, una quarantina, sono stati allievi del nostro corso di formazione per micro-imprenditori e le realtà risultano molto solide.

2. La relazione

Nella mission della nostra Comunità lavorare per il sociale corrisponde

Nella missino Ne anche a cercare di avvicinarci ad ogni persona "essendo l'altro", cercando di capire la sua condizione di vita, realizzando lo sforzo di uscire dalle nostre categorie mentali e schemi culturali per entrare in quelli altrui. Orientando in tal senso tutte le tecniche che utilizziamo e gli strumenti professionali, a partire dal colloquio professionale.

Questo cercare di comprendere profondamente l'altro è un atteggiamento che si può esprimere come "farsi uno", mettersi "nella pelle" dell'altro, entrare nella sua situazione, "trasferirci" in lui spostando tutto ciò che siamo perché l'altro si senta accolto con tutti i suoi problemi, fare nostre le situazioni altrui per poter così trovare insieme le soluzioni più adeguate.

Tale atteggiamento esige una condizione previa: essa consiste nel "fare il vuoto", ossia allontanarci dai nostri pensieri, idee, opinioni, possibili alternative, che ci vengono in mente, allontanare i pregiudizi. Solo così si ha la possibilità che il pensiero e le esigenze altrui penetrino profondamente in noi trovando lo spazio per essere accolte, e così l'altro possa esprimersi pienamente. Abbiamo costatato che, agendo in tal modo, quando la persona ha finito di parlare, in genere troviamo insieme possibili risposte o addirittura le nostre idee finiscono con il coincidere con quelle di chi si ha di fronte in un'unica soluzione.

Innumerevoli volte abbiamo visto che quando nel nostro lavoro si stabilisce una sincera relazione fraterna, essa permette non solo una maggiore conoscenza dell'altro, ma anche una sorta di "surplus", di supplemento di conoscenza della realtà; costituisce fonte di comprensione, concretezza, creatività nella ricerca di soluzione dei problemi affrontati, e produce dei risultati che sarebbero impensabili a priori o a tavolino.

Un altro problema particolarmente sentito nel nostro Paese è quello dei giovani e dei bambini. Abbiamo migliaia di "bambini di strada", esposti come si sa a tutti i tipi di pericoli, dalla droga alla delinquenza alla violenza, e così via. Ne deriva un'attenzione tutta particolare dedicata a questa problematica nella nostra Comunità.

Tra le attività che abbiamo istituito per far fronte a questa situazione, vi è la "ludoteca". Essa è nata come uno spazio gestito dagli stessi ragazzi, pur con il supporto di alcuni operatori. Il programma che si svolge con loro è sempre aperto ad un processo dinamico e creativo. La partecipazione e l'impegno nelle varie attività, compresa quella scolastica, si svolge in modo spontaneo e naturale, anche attraverso il tempo libero e la ricreazione.

L'impatto che i rapporti fraterni costruiti con questi ragazzi e giovani ha avuto a livello sociale può essere individuato in diversi effetti: la socializzazione, l'abitudine all'ordine e alla pulizia, la collaborazione, il protagonismo (poiché si offrono spontaneamente a collaborare in qualche attività), l'apertura a nuovi soggetti, il senso di appartenenza ad un'unica famiglia, il rispetto dello spazio e delle regole, l'autogestione nei loro progetti, lo scardinamento dei binomi relazionali formali insegnante-allievo  e assistente-ragazzo.

3. Unità e distinzione

Una componente centrale del nostro lavoro è la dinamica di unità e distinzione che si instaura nei rapporti che stabiliamo tra gli operatori sociali e le persone del posto. Il criterio fondamentale di ogni nostra pianificazione, obiettivo, meta o attività, è espresso dalla domanda: "Quest'azione che proponiamo è di aiuto all'unità tra le persone e tra i gruppi della comunità?". Se infatti dalle nostre risposte emerge che non è così riteniamo che non si tratti di un progetto valido o sufficiente. E questo criterio ci guida sempre nel cercare di discernere il percorso da intraprendere nella pianificazione ed esecuzione dei nostri progetti.

In sintesi, potremmo dire che il nostro lavoro sociale ha un duplice obiettivo: da una parte, la risoluzione dei problemi sociali e dall'altra, il riuscire a raggiungere l'unità più profonda possibile con le persone della Comunità. Quest'unità è allo stesso tempo fine e mezzo per il superamento delle problematiche sociali.

Anche la saggezza delle persone più semplici ci conferma che questa è la strada da seguire. Quando abbiamo iniziato il nostro lavoro nella Comunità, ad esempio, una signora ci disse: "Qui non basta dare da mangiare alla gente (anche se la maggior parte delle persone si trova nella miseria); ciò di cui abbiamo più bisogno è la solidarietà, l'andare d'accordo con i vicini, riuscire a superare le divisioni per risolvere i nostri problemi e poter andare avanti uniti".

Tendiamo sempre a che il rapporto operatore sociale/persona sia di unità e distinzione, che abbia un vincolo il più forte possibile ma senza cadere nell'uniformità, affinché ognuno preservi e cresca nella propria identità. Questo ci ha aiutato ad affrontare l'altro rispettando la sua singolarità, giacché singolarità e socialità si implicano mutuamente. Più tenevamo conto della singolarità e del rispetto per l'individualità della persona, più cresceva l'unità fra tutti, e quanto più cercavamo di generare l'unità nei rapporti interpersonali e gruppali attraverso raduni, eventi, ecc., più veniva in rilievo la singolarità e l'identità di ognuno ed emergevano i talenti e le capacità di ciascuno.

Non è un caso che da tale riunioni di Comunità sia emerso il 50 % dei responsabili delle attività che portiamo avanti: sono stati essi stessi ad offrirsi spontaneamente per aiutare la Comunità portando avanti un corso, un work shop o un'attività di solidarietà.

Queste riunioni si tengono ogni mese e servono, tra l'altro, a costruire o rafforzare i rapporti fra tutti, e a comunicare le azioni che si stanno portando avanti, in modo che la programmazione sia trasparente e il più possibile condivisa da tutti.

Uno dei segnali che indicano che ci muoviamo nella direzione giusta è che la gente, quando ci conosce, non ci percepisce con distacco o senso di inferiorità, ma ci riconosce come "parte di loro". Senza dubbio questa presunta superiorità degli operatori è una delle barriere più difficili da superare, perché è molto facile che si crei un muro di sfiducia. Ma il fatto di tendere sempre a "farci uno" con loro ha rotto quella barriera e oggi posso assicurare che nel nostro Centro non sussiste più questo tipo di difficoltà. Alcuni muratori, ad esempio, che lavoravano alla costruzione di un salone per i corsi di formazione ci dicevano a questo proposito: "Alcune persone studiano per essere più di te, per schiacciarti la testa e mostrarti che sono sopra di te; voi invece non fate questa differenza ma siete uguali a noi, ci trattate bene, vi avvicinate a noi, parlate con noi, v'interessate a quello che siamo. E fate così con tutti!" 

In poche parole, abbiamo scoperto quanto la distinzione, la diversità di compiti e persino di situazioni, possono non costituire una barriera, ma un arricchimento per costruire l'unità nella Comunità

Una delle pratiche che  più sostiene il nostro lavoro è quella che abbiamo chiamato "riflessione in comune". Riteniamo, infatti, che mettere in pratica la relazione di unità e distinzione nel processo di promozione sociale debba coinvolgere non solo l'azione ma anche il pensiero. Ci siamo accorti che tanto il nostro fare, quanto il nostro pensare, debbano nascere proprio da questa dinamica di unità e distinzione. La nostra esperienza ci dice che la riflessione in comune si raggiunge soltanto quando ognuno cerca di non imporre, ma porgere la propria idea all'altro, perché ha capito che anche il pensiero è qualcosa che deve essere donato se si vuole costruire una relazione d'unità, basata sull'empatia, sul servizio, sulla cooperazione e sulla collaborazione reciproca.

Questo modo di riflettere insieme  nella riunione settimanale dell'équipe di lavoro,  integrata da persone del posto, si è trasformata in una prassi fondamentale. Genera idee innovatrici, diminuisce notevolmente i margini di errore e migliora l'adeguamento dei mezzi ai fini programmati, aumentando l'efficacia nelle possibilità di soluzioni e nella scelta delle strategie e delle azioni da intraprendere secondo le diverse circostanze. La "comprensione in comune" risulta così superiore, più intensa, più profonda di quella che raggiungiamo quando analizziamo i casi da soli. Tale prassi ci  ha portato a generare metodologie e spazi di "analisi in comune" con una forma d'approccio interdisciplinare.

Ovviamente, ci siamo accorti che arrivare all'unità di pensiero non è facile, abbiamo imparato a tener conto che i progressi della comunicazione e della comprensione reciproca spesso sono lenti ed implicano a volte tensioni e conflitti che sorgono non soltanto a causa di una mancanza di disposizione interna delle persone, ma soprattutto per il fatto che in genere si affrontano questioni complesse e di non facile soluzione, che ammettono prospettive e procedure diverse (o almeno opinabili). La nostra esperienza ci dice però che, quando si mette in pratica adeguatamente una relazione basata sul reciproco ascolto, profondo e rispettoso, presentando le proprie aspirazioni e idee in maniera franca, ma serena, la comunicazione è più efficace e le idee risultano apprezzate per quanto di vero e positivo esse contengono.

Una volta un medico che conoscevamo si è offerto di collaborare con noi attraverso corsi di prevenzione della salute. Poco dopo gli è stato chiesto, dal governo della nostra Regione, di aprire un ambulatorio pediatrico. Lui ci ha proposto di farlo nel nostro Centro. Noi non avevamo mai pensato di aprire un ambulatorio all'interno del Centro, perché c'era già un certo servizio sanitario nella zona e pensavamo che esso riuscisse a coprire le necessità più elementari. Ma ci siamo detti: "Dobbiamo sapere ascoltare le necessità della gente e vedere cosa pensa". Abbiamo così condiviso questa proposta nell'équipe, cercando di avere prima di tutto quel tipo di rapporto tra di noi che genera la "riflessione in comune". Dopo  questo momento di riflessione, con la gente e tra di noi, abbiamo deciso di aprirlo. Oggi il nostro consultorio è una delle attività con più successo nella Comunità, con una domanda di circa 200 bambini alla settimana. Tramite questa e tante altre esperienze di questo tipo, abbiamo imparato che nello sviluppo comunitario non bisogna mai fossilizzarsi, è necessario essere sempre aperti alle nuove situazioni e necessità espresse dalla Comunità stessa.

4. La reciprocità

La reciprocità è un altro punto di forza decisivo per tutto il nostro lavoro. Il considerare l'altro come soggetto e non oggetto ha permesso una relazione d'interazione, a due vie, "andata e ritorno", e ciò ha prodotto inaspettate conseguenze e sviluppi, giacché è sperimentato che quando l'io esce da se stesso per andare verso l'altro e questo avviene reciprocamente, sorge una terza realtà, un "tertium", che supera e trascende tutti e due.

Tale reciprocità tra operatore sociale e co-soggetto cerchiamo che sia presente in tutte le fasi del processo metodologico d'intervento: nella diagnosi della situazione, nella pianificazione, nell'esecuzione e valutazione dei progetti e in tutte le azioni tendiamo sempre a far sì che la reciprocità costituisca lo stile tipico dei nostri rapporti, e ciò informa ogni aspetto della nostra vita comunitaria.

In una riunione con la Comunità abbiamo parlato del "Campeggio per le vacanze". Quest'argomento ha suscitato molto interesse perché i mesi estivi costituiscono un problema per le famiglie del posto, sia per la difficoltà a dare ai ragazzi  un'occupazione sana, sia per le difficoltà economiche che non consentono di inserire i propri figli in attività ricreative a pagamento. Nasce così l'idea del campeggio. Nella riunione in cui trattavamo il tema abbiamo fatto sapere che noi ci saremmo impegnati a dare ad ogni bambino un aiuto economico perché vi potesse partecipare. I genitori, a loro volta, si sono offerti  di collaborare con una vendita di cibi tipici, confezionati da loro per cofinanziare l'iniziativa. Anche i più poveri  volevano dare quel poco che avevano. Hanno poi proposto anche che ognuno dei loro figli avesse un salvadanaio a casa per risparmiare e restituire quanto il Centro aveva anticipato  per loro. E' nata  un'esperienza spontanea di dono e reciproco sostegno.

Di episodi di questo tipo, dove anche i più poveri sono capaci di dare non soltanto il superfluo ma a volte anche il necessario, ne avremmo tantissimi da raccontare. Sono quasi quotidiani, a volte commoventi, e riguardano spesso le necessità più elementari, da un letto ad un frigorifero, ad una porta per le povere case del quartiere. Questo tipo di "comunione dei beni"  risulta molto importante per le persone, non soltanto perché va incontro ad una necessità urgente e immediata, ma soprattutto perché restituisce alle persone speranza e fiducia nella vita, mostrando che la fraternità è possibile.

Ma quello che è più importante è che questa realtà non si dà soltanto a livello interpersonale, familiare, o di vicinato. Ormai essa va diventando una pratica strutturale a più ampio raggio, che ha un influsso anche oltre il circolo della Comunità in cui lavoriamo.

Da quando cerchiamo di concretizzare la dimensione della reciprocità anche a livello interistituzionale, un punto che abbiamo avuto sempre presente in ogni progetto è stato l'approccio di rete con altre associazioni per ricercare legami significativi con tutti gli attori e le organizzazioni della Comunità, con i responsabili dei gruppi naturali e con le istituzioni presenti sul territorio.

Ad esempio, tra l'altro, forniamo un'azione di sostegno ad una rete di 16 centri comunitari della località "La Mattanza", cui noi offriamo una  formazione all'azione sociale. Essa in cambio costituisce per noi delle braccia in più su cui poter contare per lavorare ad ampio raggio. A questa rete di associazioni abbiamo anche offerto il nostro studio comunitario e di diagnosi sociale. Questo gesto è stato molto apprezzato, non solo perché non esisteva un lavoro così approfondito sul territorio, ma anche perché  di solito tra le istituzioni sussiste sempre un po' di gelosia per i propri elaborati e le proprie esperienze. Tra l'altro questo "rompere" gli schemi precostituiti ha aiutato a creare un rapporto di fiducia e collaborazione reale sul territorio che si sta rivelando molto fruttuoso.

Con altre organizzazioni abbiamo inoltre formato una rete di micro-imprenditori per lo studio di possibili iniziative produttive e stiamo presentando al Governo nazionale progetti di micro-aziende per ricevere dei sussidi. In totale 51 organizzazioni e tanti imprenditori stanno ormai avviando i loro progetti attraverso di noi. La novità consiste nel proporre iniziative e progetti come rete e non tanto come singole organizzazioni separate e frammentate. Ciò costituisce un indubbio elemento di vantaggio per ciascuno e in tal modo anche a livello politico le proposte per l'ottenimento di fondi e sussidi governativi acquisiscono più forza e vengono valutate positivamente.

Inoltre anche in tutte le altre aree d'intervento ci siamo proposti di lavorare in rete che per noi vuole dire attraverso un rapporto sociale di fraternità a livello interistituzionale con le altre organizzazioni (scuole, cooperative, ONG, sindacati, parrocchie, etc.). Abbiamo così avviato una rete formata da 15 organizzazioni con le quali ci si ritrova per riflettere e trovare insieme le soluzioni ai numerosi  problemi del territorio. Sono sorte così diverse iniziative che vanno avanti con buoni risultati, anche a livello di rapporti con le istituzioni.

Un attore importante in tal senso è il Comune, con il quale abbiamo istituito un  rapporto di collaborazione fattiva e con cui stiamo portando avanti un progetto di imprenditoria giovanile finanziato dal Governo locale.

5. Conclusione

Concludendo, siamo ben consapevoli che quanto abbiamo esposto possa costituire sempre più una base per un'acquisizione irreversibile nella teoria e nella prassi dell'assistenza e delle politiche sociali. Pensiamo infatti che la nostra esperienza possa rappresentare un contributo significativo rispetto ad una duplice prospettiva: da una parte in quanto essa può costituire una conferma di quei valori che oggi il servizio sociale professionale va esplicitando a livello di principi, teorie, criteri di azione, e metodologia; dall'altra ci sembra di poter mostrare una strada ed offrire una concreta speranza a coloro che si avviano ad intraprendere tale percorso, o ad altri che agiscono da anni in questa professione.

Ci sembra che soprattutto a livello pratico, oltre che teorico, la nostra esperienza possa costituire un valido banco di prova per i principi del servizio sociale professionale, ma con alcuni convincimenti irrinunciabili di fondo che vorrei qui sottolineare:

  • non esistono ricette fatte: le soluzioni ai problemi sociali si trovano attraverso la qualità e la positività della relazione che si riesce a stabilire con tutti gli attori e che risulta sempre nuova;
  • è necessario tenere presente che il servizio sociale consiste nell'andare incontro a delle persone e non ad un problema sociale;
  • l'azione sociale è costituita da tre fasi fondamentali:
    a) fare proprio il problema dell'altro, in quanto co-soggetto;
    b) stabilire rapporti sociali di fraternità;
    c) affrontare le problematiche sociali insieme al co-soggetto;
  • la trasmissione e la condivisione delle esperienze è imprescindibile, giacché l'applicazione nel concreto delle idee, dei valori proposti e delle pratiche, s'impara non soltanto attraverso la parola, ma anche tramite il "contagio vitale" dell'esperienza vissuta.

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